mercoledì 26 aprile 2017

MARLA (prima puntata)

Era stesa a terra, inerme, senza ribellione, col corpo a peso morto, quattro donne la tenevano, più un corpulento uomo che le cingeva le caviglie, con le sue grandi mani, che erano come morse d'acciaio, e che le facevano molto male. Si era rifiutata di prendere dei medicinali, da cui si era disintossicata con molta fatica, sapeva che le facevano molto male, che il suo sangue era saturo di questo farmaco e loro le avevano fatto un TSO. Ma loro, loro chi? Non sapeva come e quando fosse finita lì, nel Servizio Psichiatrico, non sapeva chi fosse stato a mettere in moto quel demonio che è il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) forse come al solito i parenti/serpenti? Che paradosso lei si era sempre battuta per un idilliaco amore universale, aveva subito le più ignominiose offese senza controbattere, cercava sempre il punto d’incontro, non giudicava, accettava tutto e tutti eppure Il TSO era lì davanti a lei, firmato da un’assessora. Forse il sindaco non c’era, forse se il sindaco avesse letto il suo nome, non avrebbe firmato quel foglio che gettava tutta la sua persona nella spazzatura. Lei aveva fatto molto per la sua città, per Ravenna, senza nessun secondo fine o tornaconto, solo per amore della città. Calde lacrime rabbiose scesero sulle gote di Marla, contro al sindaco e all’assessora, come era possibile che dei politici potessero decidere se uno era bisognoso di cure o no? Che erano dei medici? Degli psichiatri? Dio mio, Mio Dio, non mi abbandonare ti prego, fortuna che Tu ci sei sempre e nel momento del bisogno mi sorreggi. Marla, fu costretta a prendere quella capsula blu che odiava, la mandò giù con rabbia e docilmente si lasciò condurre verso una stanza, le diedero il letto numero otto, Marla si disse, sì otto e me ne fotto!

venerdì 21 aprile 2017

Storia di animali 27



Io non faccio differenze fra civette, gufi e allocchi, mi paiono quasi uguali e mi piacciono tutti anche se non li ho mai visti dal vero. La spiegazione che va per la maggiore sul web è che le civette sono piccole e i gufi sono grandi, ma se la civetta nana misura appena 16-17centimetri,  la civetta delle nevi  misura ben 59-65  centimetri. La civetta è più facile incontrarla di notte che di giorno, ma essa vola anche durante le ore diurne. E’ facile osservarla al tramonto, appollaiata sui fili del telefono o su alti pali, mentre scruta il terreno in cerca di prede. L’assiolo, più noto come Chiù. E’ simile alla civetta, ed quindi facile confonderlo con questa. Il suo tratto distintivo è il lamentoso e ripetitivo canto “Chiù… Chiù… Chiù…” che può proseguire per ore. Da noi in Romagna si dice “che sei come  un ciù”, che vuol dire che sei un incantato, un inciciuito, ovvero uno stupido con la testa dura, un ciù, è un maschio che ha perso la testa  per una femmina. Un proverbio romagnolo recita: “La nota dla Pasqueta è scor è ciù e la zveta”, la Romagna è stata una terra maschilista, col padre e poi il marito padrone, l’aforisma svela che la civetta/femmina è pari al ciù/maschio e che possono parlare solo la sera dell’Epifania in quanto quella notte, secondo la leggenda, parlano gli animali. L’allocco è grande quasi quanto il gufo, con un’apertura alare fino a un metro. Vive nei boschi, ma a volte si adatta anche ad ambienti urbani. Il gufo comune  si adatta a molteplici ambienti e può quindi essere osservato ovunque. Gli occhi del gufo hanno una bellissima iride arancione. E infine il barbagianni riconoscibile dal bianco disco facciale a forma di cuore. Questo rapace notturno è piuttosto difficile da incontrare, in Romagna il termine barbagianni è molto dispregiativo ancora di più del ciù… il barbagianni è sempre stupido anche quando non è innamorato.   

domenica 16 aprile 2017

VIAGGIO IN FRANCIA XXII



Sulla strada del ritorno ci fermiamo a Nimes, famosa per le testimonianze romane, un coccodrillo incatenato ad una palma, è il simbolo della città, ricorda che essa fu fondata dai legionari romani di ritorno dalle vittorie nelle campagne d’Egitto, Nimes è considerata la Roma di Francia vi si trovano testimonianze come: l’Arena, la Maison Carrée e la Tour Magne. Nell’Arena ben tenuta e in pieno centro, oggi vengono ospitate  manifestazioni sportive, congressi, e soprattutto, le corride di cui la popolazione è da secoli appassionata. La Maison Carrée  è il tempio dell’antichità meglio conservato al mondo, sembra una bomboniera, nonostante sia un caldo afoso bestiale, truppe di turisti con le guide si muovono come soldatini frettolosi lungo l’asse anfiteatro e tempio. Il nome, Maison Carrée, in francese, significa “casa quadrata” ed è costruita ispirandosi al tempio di Marte Ultore di Roma. Proprio di fronte al Tempio vi è ubicato il Carré d'Art, un edificio costruito dall’architetto britannico Norman Foster, inaugurato nel maggio 1993, lo trovo molto bello, è costruito in vetro, acciaio e cemento. L'edificio è adibito a museo d’arte contemporanea, esponeva l’artista Ugo Rondinone, famoso per i suoi pagliacci/spaventapasseri, la coincidenza mi ha colpito perché il mio ultimo romanzo si intitola: “Lo spaventapasseri”. La Tour Magne   raggiunge l’altezza di 32 metri, per arrivarci si attraversano i magnifici Giardini della Fontana, costruiti nel 1700 tra il Tempio di Diana e la Torre. Furono i primi giardini pubblici d’Europa, tutto il centro è ornato con canali d’acqua decorati con statue e opere d’arte che culminano con gli splendidi Giardini. Dopo aver visto le cose “speciali” di Nimes, abbiamo girovagato per il centro storico, la Piazza delle Erbe, con la facciata della Cattedrale, e i tanti veramente tanti tavolini all’aperto, dove nonostante le tre pomeridiane e un caldo feroce centinaia di persone mangiavano, il Brandade, un piatto di merluzzo sbriciolato nel latte, cozze con patate fritte e quintali di carne di toro, qui sembra quasi di essere in Spagna. Vi era un’aria lenta e rilassata, scandita dai grandi caseggiati dai balconcini e le finestre decorate, e dai numerosi negozi di rigattieri, di antiquariato e prodotti tipici, tra cui quelli che vendevano stoccafissi e baccalà in quantità. Sì proprio un’atmosfera rilassata alla spagnola, non per niente vi è pure una fontana decorata con una grande cicala e altro simbolo di Nimes è l’ancora, il cui significato è legato al mare ma anche alla barriera, ciò che è capace di fermare qualcosa, l’ancora si può leggere simbolicamente con l’ossimoro: “affrettati con calma”, mi sembra che calzi bene con Nimes. Si parte, si torna a casa, pochi chilometri e Nimes ci saluta con un’opera architettonica straordinaria: il Pont du Gard, il ponte a doppia arcata costruito dai romani.
  
L'edificio è strutturato su nove piani, di cui cinque sono interrati. L'architettura riprende la stessa serialità del tempio classico che gli è di fronte, attraverso la creazione di un pronao e l'utilizzo di linee rette. In contrasto con la classicità della pianta, l'edificio è costruito con materiali moderni, e ha una copertura leggera che permette alla luce di riversarsi all'interno dell'edificio. La Torre  ha laragguardevole altezza di 32 metri. Per arrivare alla Tour Magne si attraversano i magnifici Giardini della Fontana, costruiti nel 1700 tra il Tempio di Diana e la Torre. Furono i primi giardini pubblici d’Europa ed oggi offrono un bel riparo, soprattutto durante le caldissime estati provenzali. Tutta la città è percorsa da fontane, corsi d’acqua, opere artistiche e statue che culminano coi Giardini.   Merita un giro anche il centro storico, tipico di una cittadina della Francia del Sud: piazzette, fontane, tavolini dei bar all’aperto, botteghe di artisti e artigiani. Ma la Spagna è molto vicina e la si incontra nell’atmosfera e, soprattutto, nella cucina. Provenzale, spagnola e romana, così quindi, potremmo sintetizzare Nîmes.  Una curiosità: vi siete mai chiesti da dove arriva la definizione di Denim associata ai jeans di tutto il mondo? Significa de-Nîmes, cioè che arriva da Nîmes si riferisce ad un tessuto che fin dal Medioevo le industrie locali hanno esportato in tutto il mondo. A Nimes c’è una grande tradizione tessile, quindi se volete fare o farvi un regalo, troverete tovaglie e scialli in quantità.

martedì 11 aprile 2017

VIAGGIO IN FRANCIA XXI




Minerve, città martire e antico rifugio di eretici catari, è un paese scolpito nella roccia, dove esistono ancora recinzioni, porte fortificate, stradine lastricate di ciottoli di fiume, torri e “il Candela”, ultimo bastione rimasto del castello. Vi si giunge tramite una strada ricca di vigneti, il villaggio è stato la capitale del Minervois cioè della regione vinicola. Un paesaggio incantevole con gole e forre, con uno strano prato di erba grassa e fitta su un tavoliere riarso dal sole, ad un certo punto incontriamo un monumento dedicato alla bicicletta, si è corso qui, un tratto del Tour de France nel 2016. Si parcheggia l’auto e poi si scende a piedi di trecento metri circa, il ponte principale che conduce al villaggio è chiuso a tutti i veicoli, tranne i  residenti. Si entra in paese accolti dall’imponenza del Candela, qui ho perso i miei compagni, non vedendoli più, ho girato per il paese cercandoli, non trovandoli ho preso in mano il telefonino per chiamarli, spaventata ho visto che il telefono era “morto”. L’ansia è sopraggiunta, sono tornata al Candela, qui vi era un bar, si trovava accanto alla Casa dei Templari, mi sono fermata ad un tavolino all’ombra di un fico che cresceva dalla roccia, pensando al da farsi. La signora che gestiva il locale, vedendomi preoccupata mi ha chiesto se avevo bisogno di qualcosa; spiegandomi un po’ in francese, un po’ coi gesti sono riuscita a farmi capire; la signora mi ha procurato il caricabatterie, poi mi ha fatto accomodare in una poltrona e mi ha acceso il ventilatore per rinfrescarmi, intanto che aspettavo che il telefono si ricaricasse. Lo racconto perché questi gesti di gentilezza sono oggi assai rari, per ringraziarla l’ho abbracciata e baciata sulle guance, lei ha ricambiato sorridente, le ho lasciato il mio indirizzo perché se verrà in Italia, mi piacerebbe ospitarla per un paio di giorni. Ritrovati i miei compagni sono andata alla scoperta del paese, veramente piccolo, ci abitano un centinaio di persone. La chiesa di Saint-Étienne, in stile romanico, spoglia ma assai suggestiva,  davanti al sagrato “la colomba di luce” scolpita nella roccia dall’artista locale Jean-Luc Séverac, in pratica, una finestra nella roccia in forma di colomba, qualche negozio artistico di souvenir e una bellezza panoramica da togliere il fiato, il paese è tutto qui.     



giovedì 6 aprile 2017

VIAGGIO IN FRANCIA XX



Lasciata la nostra autostoppista a Rennes-les-Bains, ritorniamo a Bugarach per visitare il paese, abbiamo pensato di cenare qui per poi fermarci sino a mezzanotte per “captare” questo probabile magnetismo del monte. Il paese è veramente solo qualche casa e una chiesetta, l’atmosfera è un passo indietro di quarant’anni; nella piazza antistante alla Chiesa, c’è una festa, con la musica della fisarmonica, suonata da un ragazzo biondo e giovane, col cappello per le monete ai piedi e poi ci sono poche bancarelle coi prodotti locali, compro pane, olive e formaggio caprino. La bancarella di una ragazza era molto gremita, vendeva spremute di cocomero, melone ecc. ottenute con una macchinetta antidiluviana, con l’imbuto e la manovella, abbiamo preso anche noi la spremuta, sedendoci poi per gustarcela, era un po’ calda, sul muricciolo, osservando i bambini giocare e l’andirivieni delle persone, forse duecento, in pratica tutto il paese intero. La chiesa, dedicata a San Martino, sembrava chiusa, invece spingendo uno spesso portone si accedeva ad un interno affrescato di azzurro con decorazioni di corone e lettere, tra cui una “S” che ricorda quelle presenti nel Tempio Malatestiano di Rimini, coi soliti Santi: Maria Maddalena, San Rocco, Santa Germana ecc.,  c’era una acquasantiera assai bella con un catino di sasso decorato con dei cuori; era una povera chiesa ma mi ricordava tanto le nostre chiesette di montagna, povere, ma presenti anche nei luoghi più sperduti. Un’opera d’arte in ceramica, posta appena fuori la porta della chiesa narra una leggenda. Racconta che qui vivevano fate e folletti, Nore una fata, Bug un nano e Arach, un elfo, erano i più amati dalla popolazione, mentre Cers, figlio di Eolo, padre dei venti, devastava le colture dei contadini ed era assai temuto. Nore e Bug e  Arach pregavano per scongiurare i mali di Cers, questo vento devastante. Un giorno, la tempesta era più forte del solito, allora la fata Nore, implorò il dio Giove che le promise di calmare Cers e di proteggere la terra. Improvvisamente il vento si calmò e  Nore vide la pianura che si alzava gradualmente diventando montagna. Incoraggiati dall’esempio di Nore, Bug e Arach implorarono anche loro Giove di calmare Cers e per farsi sentire meglio Bug si arrampicò sulle spalle di Arah, le loro preghiere giunsero a Giove e in quel punto, dove stavano Bug e Arach, si alzò la montagna più alta: il Bugarach che frenò per sempre il vento disastroso di Cern. Dopo questa bella leggenda, siamo andati a mangiare in un ristorante ai piedi del Bugarach, dove abbiamo cenato benissimo, un po’ troppo abbondante forse (ho scambiato il sanguinaccio per una fetta di salame, per poco non lo assaggiavo, io che ho sempre avversato questo cibo, perché contiene sangue di maiale e ciò mi disgusta), il personale era assai cortese, l’unico impiccio, la carta di credito con cui non si riusciva ad effettuare il pagamento, mancanza di collegamento… fosse che fosse il magnetismo della montagna? La serata è finita nell’orto/giardino dietro al ristorante, passeggiando fra rose rosse e bianche ed eucalipti, osservando la montagna “sacra”… niente di strano, solo la pace che si ha osservando l’imponenza delle montagne, tra l’altro l’eucalipto ha significato etimologico di nascondere, quindi vede solo chi sa.   

sabato 1 aprile 2017

VIAGGIO IN FRANCIA XIX



Si dicono un mucchio di cose sul vulcano spento, pieno di passaggi segreti e grotte, ovvero il Monte Bugarhac: come ho già scritto sarebbe l'entrata di Agartha la città sotterranea del mito della Terra cava, poi come al solito, nasconderebbe dei tesori, quindi la strana storia della ricerca di una “reliquia” dei tempi biblici: l’Arca dell’Alleanza, e ancora sarebbe la base sotterranea degli alieni, senza contare che addirittura in una sua grotta ci sarebbero i resti di Gesù, portati via dalla Palestina dai crociati. Questa montagna “sacra”, nata in un’epoca lontanissima da una forza tellurica straordinaria, i geologi dicono 135 milioni di anni fa, avrebbe forti onde magnetiche, talmente potenti da impedire il volo di aerei e ostacolare le comunicazioni con i telefoni cellulari. Ciò mi ricorda ancora i Monti Sibillini e il “triangolo dell'Adriatico”, dove corrono le stesse favole di alieni, di resti sacri e di magnetismo (ed è qui che si “decise” doveva stare la Casa di Maria, e nessun altro posto, cioè a Loreto), comunque sia io mi sento a casa, non mi sembra di essere lontana mille chilometri, non so perché, mi sembra di conoscere da sempre il Bugarach e questi luoghi. Il Bugarach ha molte belle passeggiate a piedi per arrivare sulla sua cima, noi ci limitiamo a gironzolare e a fermarci in qualche bel posto panoramico, su e giù con l'auto, attorno al Monte, ed è qui nei pressi che ci capita, un incontro. Un’autostoppista, una pellegrina ci ha chiesto un passaggio sino a  Rennes-les-Bains luogo vicino a Bugarach, famoso per le terme. La nostra ospite ci ha detto di chiamarsi Anna e che non le piace il nome Annì, cosa volesse dire non ho ben capito. Anna ha tre figlie grandi, concluso il suo lavoro di madre è partita per l’India, per Veparala mi sembra di ricordare, dove fa volontariato attivo, torna in Francia durante i tre mesi estivi per incontrare le figlie, ma il suo cuore è in India, dove sta cercando il luogo adatto per costruire una scuola, i fondi e i permessi li ha già ottenuti. Qui in Francia si esibisce in spettacoli di strada con il flauto indiano e anni fa ha lavorato anche con il famoso circo Bidone, un fantastico circo che viaggia a bordo di carovane trainate da cavalli. Le chiedo di Madre Teresa di Calcutta, ma taglia corto, non vuole parlarne, mi dice che fa anche la guida e che se vogliamo ci accompagna per la salita del Bugarach, dovremmo però alzarci il mattino dopo alle cinque col ritorno verso le due del pomeriggio… sarebbe bello, ma abbiamo le ossa rotte per tutte le salite che abbiamo già fatto. Ci mostra il lato  del Bugarach dove in molti vi vedono un Buddha, altri vedono il volto di Cristo… qua è come il gioco di trovare forme nelle nubi. Prima di bere dalla mia bottiglietta d’acqua, la porgo ad Anna, che beve all’indiana, cioè con il collo della bottiglia distante dalla bocca. Anna scende a Rennes-les-Bains e ci lascia con un sorriso dolce e sicuro, proprio, di chi ha trovato la propria strada nella vita.