venerdì 31 maggio 2013

martedì 28 maggio 2013

NOVECENTO A FORLI' (decima e ultima parte)



                                                              Cariatide XII secolo 

Col biglietto della mosra Novecento, si può accedere alla collezione permanente dei Musei san Domenico , non dovete perdere questo percorso perchè  ci sono alcuni veri capolavori.
 Le cariatidi provengono dalla Cattedrale di Forlì, uno dei simboli della storia religiosa e civile della città di cui si hanno notizie fin dal X secolo. Un grande affresco nell’abside del presbiterio, opera del 1863 di Pompeo Randi, illustra l’ “invenzione e il riconoscimento della Santa Croce” a cui la chiesa è dedicata. Ricostruita in seguito ad un incendio nella seconda metà del secolo XII la Cattedrale venne completamente ristrutturata nel secolo XV e consacrata nel 1475. Pochi decenni prima era avvenuto a Forlì il miracolo che ancora oggi rende particolarmente cara ai forlivesi questa chiesa. Il 4 febbraio 1428 una scuola nei pressi della Cattedrale fu completamente distrutta da un incendio che lasciò in piedi solo un brandello di muro con l’immagine su carta della Madonna, poi chiamata del Fuoco, che in quella scuola era venerata. La Madonna del Fuoco è la protettrice di Forlì.

                                                            Cariatide XII secolo

Le cariatidi, si trovano nella prima sala del museo, sono del XII secolo e provengono da Santa Croce.
Mi affascinano le cariatidi e i mostri che ancora oggi troviamo nelle chiese antiche, mi immagino lo spavento e il timore che generavano nelle persone  che andavano a pregare e ad ascoltare la Messa. Le scimmie  in particolare sono la personificazione della lussuria e del peccato.

                                                 Pestapepe probabile Francesco del Cossa
 
L'affresco stava in mezzo agli stemmi dei Riario e degli Sforza sulla facciata del fondaco del Provveditore  di Spezierie di Girolamo Riario in Forlì.

Il pepe costituiva il tipo di "spezie" più largamente usato e raccomandato per il suo alto potere calorifero: il commercio del pepe rappresentava un importante cespite economico. È naturale quindi che l'operazione del pestare il pepe potesse diventare l'insegna di una spezieria.

Il fatto eccezionale sta nella elevatezza della qualità artistica che questa insegna riveste.

L'opera era in passato attribuita a Melozzo da Forlì; ma l'impeto che presenta è assolutamente estraneo alla statica visione di lui. L'energia della figura è tutta ferrarese. Più precisamente il Longhi ne ha indicato la stretta affinità con la parte degli affreschi di Schifanoia, dati al Cossa, tanto da attribuirla allo stesso artista, che è tra i più grandi del Quattrocento. Io addirittura pur riconoscendo la  matrice sicuramente ferrarese vi trovo l'energia che solo Cosme Tura sapeva dare.

                                                    Dama dei gelsomini di Lorenzo di Credi

  Nonostante lo studio dell'abbigliamento e dell'acconciatura abbia dimostrato che si tratti della tipica moda fiorentina della fine del Quattrocento, molti studiosi, a partire dall'Ottocento, hanno identificato la Dama con Caterina Sforza, figlia del Duca di Milano, Galeazzo Maria Sforza, e Signora di Forlì. Questa tesi sembrerebbe supportata dalla presenza nel quadro sia della fortezza sia dei gelsomini. Caterina nutriva, infatti, una forte passione per la botanica e per i rimedi naturali. 
 "Fu tanto finito e pulito ne' suoi lavori, che ogni altra pittura a comparazione delle sue parrà sempre abbozzata e mal netta": così Giorgio Vasari descriveva l'arte di Lorenzo di Credi, uno dei protagonisti del Rinascimento fiorentino il cui nome però, nel corso dei secoli, è stato un po' oscurato da quello di più famosi contemporanei come Sandro Botticelli, Leonardo da Vinci e Pietro Perugino. Tutti artisti che tra l'altro studiarono con lui nella bottega del Verrocchio.
  
                                              Madonna con Bambino di Antonio Rossellino

 Antonio Rossellino a Forlì, nel 1458, realizzò l'Arca del Beato Marcolino, un frate domenicano morto in fama di santità; non è sicuro che si sia servito di disegni del fratello Bernardo, ma certamente si avvalse della collaborazione di un altro fratello, Giovanni Rossellino. Di Antonio, a Forlì si trova anche il dipinto Madonna con il bambino. Dal 1461 al 1466 realizzò la Tomba del cardinale del Portogallo in San Miniato al Monte a Firenze.


                                               Fiori in una fiasca impagliata autore incerto

"Fiasca con fiori" attribuita senza convinzione prima a Tommaso Salini e poi a Guido Cagnacci, Antonio Paolucci la definiva il "Quadro più bello del mondo". Adesso che ha il nuovo titolo "Fiori in una fiasca impagliata", viene datata al 1625-1630 e attribuita al "Maestro della Fiasca di Forlì", Paolucci è disposto a concedere che la "'Fiascà è pari alla 'Canestra di fruttà del Caravaggio dell'Ambrosiana, e ad altre due-tre opere" come capolavori assoluti della pittura del Seicento. Questa fiasca è stata uno dei miei primi amori, era nel mio  testo scolastico fra Caravaggio e Giorgione, come uno dei dipinti più eccelsi.  L'ho sempre attribuita a Cagnacci, ma al pittore di Sant' Arcangelo di Romagna non appartengono la "finezza dell'esecuzione" nei fiori, nell'impagliatura  e  certo Cagnacci era più areo e non analitico come l'autore della fiasca...e se fosse di Caravaggio?  Ma potrebbe essere anche di Annibale Carracci, importante pittore bolognese negli ultimi decenni del Cinquecento in opposizione al manierismo realizzò un profondo rinnovamento figurativo basato sulla volontà di rifarsi alla verità delle cose e di riavvicinarsi alla natura. 


                                                                Ebe di Antonio Canova

In una sala, tutta sola, splende Ebe, il gioiello di  Forlì. Antonio Canova lavorò per i committenti più importanti del suo tempo, raggiungendo una fama di livello internazionale. Proprio a Forlì si trova una delle sue opere più belle, l’Ebe, richiesta nel 1816 allo scultore dalla Contessa Veronica Guarini per decorare una sala del Palazzo di famiglia, situato ancora oggi in corso Garibaldi. La scultura venne poi venduta dagli eredi della Guarini al consiglio comunale nel 1887,  e da allora è esposta nella Pinacoteca Civica come una dei fiori all’occhiello del patrimonio artistico della città.
 L'Ebe di Forlì è l’ultima di una serie di quattro sculture rappresentanti lo stesso soggetto, e venne considerata, dai critici e da Canova stesso, che amava perfezionarsi di volta in volta, la più bella.
Nella mitologia greca Ebe è la coppiera di Giove e tiene perciò nella mani un’ anfora e una coppa di bronzo. Dello stesso materiale sono anche la collana e il nastro tra i capelli della dea. 

sabato 25 maggio 2013

ORGASMO



Sei la mia schiavitù sei la mia libertà

Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d'estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro

- Nazim Hikmet




immagine di Teoderica

mercoledì 22 maggio 2013

NOVECENTO A FORLI' ( nona parte)





Salvatore Ferragamo sandalo con zeppa

 Come vi avevo già scritto a Novecento è esposto anche l'eleganza del vestire italiano, oltre che pezzi di arredamento, il tutto mostra il gran da fare che gli italiani esercitano per fare grande l'Italia e ci riescono, raggiungono la vetta, ma si sa, dalla cima si può solo cadere.
Vacche magre, ma non si rinuncia all'eleganza, si cerca di fare con quello che si ha, rete, corda e stoffa, la creatività italiana sopperisce alle  materie  prime che non ci sono. Salvatore Ferragamo, noto brand di alta moda fondato a Firenze nel 1927  inventa la zeppa in sughero, primo brevetto nella storia della Moda. Negli anni ’30 realizzò la scarpa con il tacco a piramide e qualche anno dopo il sandalo invisibile, con cui vinse l’Oscar del Fashion. Negli anni, oltre al sughero, lo stilista utilizzò altri materiali come la paglia o il legno, e accanto al modello classico creò tantissime varianti: zeppa a tacco, a piattaforma, a strati pressati o bombati, scolpite o dipinte, decorate con l'antica tecnica del mosaico o addirittura con grate in ottone lavorate a girali floreali e tempestate di pietre.

                                                                Moda italiana anni "30

Questo abito giallo è talmente stretto che neanche una modella di oggi potrebbe entrarvi, forse anche allora le signore eleganti dovevano fare diete feree. C'è anche un abito in stile giapponese, di cui purtroppo non ho la foto, è di colore nero con fiori di pesco, ecco che  la micidiale  alleanza Germania/Giappone/Italia salta fuori anche nella moda. L'instaurazione di scambi culturali tra le università di Italia e Giappone era già in atto negli anni"30, ed anche Giovanni Gentile aveva caldeggiato un accordo per lo scambio di professori e studenti.  L'accordo culturale, venne stipulato nella primavera del 1935.


                                                            Sedia di Marcello Piacentini

Queste sedie così geometriche e dalle linee pulite le trovo ancora attuali, mi piacerebbero assai nella mia casa, l'equilibrio formale  è evidenziato dal rosso acceso, le sedie sono disegate da Marcello Piacentini (1881 - 1960) come dono di nozze per Fiammetta, figlia di Margherita Sarfatti, Piacentini architetto dell'Eur, è anche un notevole designer. Marcello Piacentini fu un architetto e urbanista italiano. Figura controversa nella storia dell'Architettura, a causa del forte legame con il regime fascista, la sua opera è oggetto di rivalutazione critica solo da pochi anni. Negare il genio non serve a niente.

  
 

                                              Poltroncina di Pagano/Montalcini

Giuseppe Pagano e Gino Levi Montalcini: due importanti figure del primo razionalismo italiano. Formatisi entrambi al Politecnico di Torino e soci nel campo professionale dalla metà degli anni Venti, Pagano e Levi Montalcini diventano protagonisti del rinnovamento architettonico portato avanti dal gruppo dei razionalisti torinesi, testimoniato da opere come la Mostra dell’architettura Moderna del 1928. Gino Levi Montalcini era di origine ebraica ed era fratello della scienziata Rita Montalcini. Giuseppe Pagano durante la Seconda Guerra Mondiale fu deportato nel campo di concentramento di Mauthausen, da dove venne trasferito in quello di Melk. Fu il suo ultimo viaggio: qui infatti morì nel 1945 a nemmeno cinquant’anni.


                                                            Panca di Gio Ponti

Gio Ponti si laurea in Architettura al Politecnico di Milano alla fine della prima guerra mondiale, cui partecipa in prima linea guadagnandosi alcune decorazioni sul campo. 
Negli anni Trenta partecipa alle Triennali e ne cura alcune edizioni di successo. Dal 1936 (fino al 1961) è docente del Politecnico di Milano.  
Alle grandi opere si affianca una vasta produzione nel settore dell’arredo, come testimoniano anche le sue tre abitazioni milanesi.  Gio Ponti, promotore dell’industrial design italiano, propone la produzione in serie nell’arredo d’interni come soluzione “sofisticata”, economica, “democratica” e moderna. Se osservate la panca vedrete che Ponti  riesce ad ottenere nella realtà ciò che aveva nella mente.


                                                      Piatto degli antenati di Gio Ponti
 
 Gio Ponti ha  apprezzato il moderno amando la decorazione. Ha guardato al passato e intuito il futuro. Senza confini di campo: dalle architetture, tra cui l’edificio-simbolo di Milano, il grattacielo Pirelli, alle scene e costumi per la Scala; dagli interni navali agli oggetti d’arredo, dalle ceramiche ai tessuti. Aprendo in Italia la strada all’industrial design di qualità. Negli anni Sessanta si sposta in Oriente dove realizza gli edifici ministeriali di Islamabad in Pakistan (1964) e la facciata dei grandi magazzini Shui-Hing a Hong Kong (1963). Sempre di questi anni sono l’Hotel Parco dei Principi di Sorrento (1960) e di Roma (1964) e la chiesa di San Francesco (1964) e di San Carlo Borromeo (1966) a Milano. Negli anni Settanta, a ottant’anni, Gio Ponti realizza ancora architetture importanti, come la Concattedrale di Taranto (1970) e il Museo di Denver (1971), e arredi, come “la poltrona di poco sedile Gabriela” del 1971.


                                                           Vittorio Zecchin credenza

In perfetto stile liberty, questa credenza è elegante e raffinata, la  linea decorativa dei pesci raggiunge  l'armonia con la semplicità del mobile. Vittorio Zecchin (1878 /1947) figlio di un tecnico vetraio, entrò in contatto con le ricerche simboliste e l’ambiente della secessione viennese.  A partire dal 1909 condivide l’esperienza del gruppo di artisti legati a Ca' Pesaro di cui è uno dei componenti storici, e partecipa alle loro mostre.
Dopo la prima guerra mondiale privilegiò le arti applicate. Organizzò a Murano un laboratorio di arazzi e ricami, eseguiti perlopiù con un punto di sua invenzione (“punto mio”) che imita la pennellata, ispirandosi ad alcuni soggetti dei suoi dipinti. Nello stesso tempo contribuì alla rinascita del vetro di Murano, di cui può essere considerato il primo grande designer in senso moderno.  Anche questo artista è caduto nel dimenticatoio, solo l'Italia è capace di fare ciò.


                                                        La Salamandra vaso  1930

La fabbrica di ceramiche artistiche "La Salamandra", viene fondata a Roma, nel 1921.
Con la manifattura collaborano, nel periodo romano, alcuni importanti ceramisti del gruppo che fa riferimento a Duilio Cambellotti. Nel 1923 la fabbrica viene trasferita a Perugia, la proprietà della manifattura passa alla famiglia dell'industriale Buitoni e Davide Fabbri ne assume la direzione artistica e tecnica. La manifattura rimane attiva fino al 1955.

                                                 Centrotavola di Alfredo Ravasco

Alfredo Ravasco è uno dei più rinomati orafi attivi a Milano nella prima metà del Novecento. L'artista realizza in materiali preziosi non solo richiestissimi gioielli femminili, ma anche oggetti d'uso e d'arredo, tra cui ricordiamo ad esempio la Teca per i capelli di Lucrezia Borgia della Pinacoteca Ambrosiana. 
Gli splendidi mobili e gli altri oggetti di arredo disegnati da Piacentini, Cambellotti, Pagano, Montalcini,   Gio Ponti e i gioielli realizzati da Alfredo Ravasco, testimoniano  come nel Novecento anche le vicende della moda si intrecciarono e si identificarono con quelle della cultura e della politica, originando un sogno meraviglioso, ma i sogni finiscono all'alba e l'alba del fascimo finì tragicamente.

domenica 19 maggio 2013

IL MOZART ITALIANO


  
Questa mattina ho letto sul mio solito quotidiano, nella Terza Pagina: "Rossini superò sia Mozart che la scuola napoletana: rivoluzionò il teatro, come più tardi Wagner e Verdi".
Sono letteralmente corsa al computer per scrivere questo post e commentare la frase.
Tutto ciò che scrivo è il mio pensiero, io sono solo una pasionaria della musica, le note mi entrano nella pelle e mi parlano, non sono un'intenditrice anzi sono piuttosto ignorantella,
Partiamo dalla fine, Wagner e Verdi, senza nulla togliere al loro genio, furono precursosi  di tempi drammatici e la loro musica è roboante di tragedie, pesante come i macigni più grossi...dimentichiamoceli un po'.Paragonandoli ai politici di oggi potrebbero essere dei Monti o delle Merkel sempre con quelle facce tetre cone se fossero garanzia di correttezza, a quelli di ieri a dei Mussolini o a degli Hitler, il paragone è forte ma la musica di Verdi e di Wagner, bellissima, è pur sempre tragica.
Wagner era amatissimo dai nazisti e Benito Mussolini amava la musica di Verdi e di Wagner.  Mussolini suonava pure il violino da "discreto" dilettante. Qualche anno fa il suo violino fu venduto all’asta negli Stati Uniti, per circa 20.000 dollari, e oggi è posseduto da un privato che vive nello stato dell’Illinois. Mussolini ebbe come amici personali Pietro Mascagni e Victor de Sabata.
Passiamo ora a Mozart, colui che mi ha "salvato" nel periodo più nero della mia vita, prima ero appassionata di Verdi e di Beethoven, poi nel momento più tragico ho trovato una pagliuzza alla quale mi sono attaccata era la leggerezza, lo scherzo, la fiaba di Mozart, nel periodo della tristezza odiavo Verdi e la sua serietà.
Questo è ciò che è capitato a me, dopo Mozart ho riscoperto Rossini, il cigno di Busseto, ma anche il cinghiale di Lugo, infatti Rossini non è nato in Romagna ma ... "Io ho casa a Lugo, la casa paterna, che non venderò mai, ma voglio sia conservata..."  
 La cosa che ho sempre trovato sconcertante di Rossini è la sua decisione di ritirarsi a 36 anni dalle scene, ossia all'apice della gloria e della maturità stilistica, se Mozart, morì a 36 anni non ancora compiuti, dopo avere bruciato tutte le possibili tappe, Rossini, circa alla stessa età, decise di ritirarsi a vita privata poichè non si sentiva più aderente al gusto del pubblico, il quale era mutato. Il dato più rilevante in tal senso, è il declino del genere buffo a vantaggio del nascente melodramma.
Come se le generazioni si preparassero alle tragedie e ai crimini del Novecento.
Personaggi peculiari, entrambi caratterizzati da una intima malinconia: ascoltando la loro musica si capisce che è davvero labile il confine tra gioia ed afflizione.
Da neofita quale sono e perciò completamente libera nelle associazioni ho riconosciuto in Rossini, Mozart, e in quest'ultimo la  Scuola Napoletana, conosciuta tramite le reinterpretazioni  del Maestro Riccardo Muti.
Se la vita è dura, perchè devo indurirla ancora di più, io chiedo all'arte di rallegrarmi, se mi allevia un po' il dolore io sarò meno indisponente con gli altri, considero l'arte salvifica in questo senso, quindi più Mozart e Rossini.
E ore per farvi sorridere un poco se paragoniamo Mozart e Rossini ai politici di oggi...uno solo regge il confronto: Silvio Berlusconi :)  


immagine di Teoderica
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giovedì 16 maggio 2013

NOVECENTO A FORLI' (ottava parte)



Donna allo specchio di Cagnaccio san Pietro


Cagnaccio  dopo aver ritratto il  Duce con la melograna, evidentemente cambiò idea sui traguardi del fascismo, in questo quadro del 1927 la donna è disfatta,  una metafora  dell'Italia ancora piacente, la quale si sta imbellettando ma è già una baldracca. Il realismo clinico di questo lavoro è  visto in maniera fredda ed analitica. La  salute di Cagnaccio  si aggravò nel 1940, e trascorse così gli anni della guerra ricoverato a Venezia , dove morì il 29 maggio 1946.  Sicuramente un autore da riscoprire, le sue opere ricordano  Lucian Freud l'artista britannico morto da qualche anno, lo stesso esistenzialismo malato, anche Cagnaccio non è certo un pittore di regime, egli anzi lo denuncia.

 

                                                    Maschere di Antonio Donghi

Antonio Donghi (Roma 1897/1963) apprezzato in Italia proprio per la sua appartenenza  al realismo magico, ebbe i successi più consistenti grazie ai favori dei collezionisti privati e negli Stati Uniti. 
Il termine “realismo magico”, utilizzato anche in letteratura dopo la pubblicazione del romanzo di Marquèz Cent’anni di solitudine, fu coniato dal tedesco Franz Roh e indica quell’elemento soprannaturale, magico e un poco onirico che emerge nella vita di tutti i giorni. La definizione di ciò che in pittura caratterizza il realismo magico la diede lo scrittore Massimo Bontempelli: “precisione realistica dei contorni, solidità di materia ben poggiata sul suolo, e intorno come un’atmosfera di magia che faccia sentire, attraverso un’inquietudine intensa, quasi un’altra dimensione in cui la vita nostra si proietta”.

 
                                                          Giocoliere di Antonio Donghi
Ecco che forse per Antonio Donghi, di carattere schivo nonostante l’arridere dei successi nazionali e internazionali, le figure prese in prestito dal circo e dall’avanspettacolo furono una sorta di magico alter ego   i suoi acrobati, giocolieri e Arlecchini sono soggetti isolati e tuttavia protagonisti unici in un ridotto spazio che li circonda. Il suo successo si basò soprattutto sui favori di affezionati collezionisti che non lo abbandonarono mai, neppure nel periodo dell’immediato dopoguerra, non facile per nessuno, in particolare per il pittore che di lì a poco si trovò suo malgrado invischiato nella lotta astrattisti e realisti.  

                                                                    Orizia agli specci di Ferruccio Ferrazzi

Ferruccio Ferrazzi (1891-1978), maestro eclettico del Novecento, primo italiano vincitore del prestigioso Premio Carnegie a New York presieduto da Bonnard. Artista di straordinaria caratura, contemporaneo di pittori come De Chirico, Funi e Morandi, ma a differenza loro conosciuto poco se non pochissimo. Ossequiato nella prima metà del Novecento, dimenticato nel dopo guerra, passato di moda negli Anni Cinquanta divenne quasi ingombrante nel panorama nazionale fino alla morte che diede avvio ad una breve riscoperta durata pochi anni, poi più niente.
Un incomprensibile oblio  che inizio a credere sia più invidia cha altro, perchè Ferrazzi  non è mai ossequioso al potere, non dimentichiamo che sono i critici  che determinano la fama degli artisti e i primi a volte sono pittori mancati e si accaniscono così sui più bravi.


                                                   Fuga dall' Etna di Renato Guttuso

E beccatevi in chiusura Renato Guttuso, celebrato e ricelebrato da una sinistra con le fette di salame sugli occhi. E' mia personale veduta che Guttuso sia un  mediocre pittore, scopiazzattore  del Picasso di Guernica, a sua volta copione degli italiani di Novecento, aggiungendoci un pizzico di cubismo copiato dai futuristi e da Braque.
 Guttuso è collaboratore e amico del fascistissimo direttore della famosa rivista "Il Primato" Giuseppe Bottai intorno agli anni Trenta, tra l'altro con scritti "allineati" al regime come quelli di Ruggero Zangrandi e PierLuigi Battista: “Il lungo viaggio attraverso il fascismo" e "Cancellare le tracce".
 "La Crocifissione"  suo famoso quadro ottenne il secondo posto nel 1941 al Premio Bergamo e piacque molto al "fascistissimo" ministro Bottai.Un altro "capolavoro" è la "Fuga dall'Etna" del 1938, di proprietà della Galleria Nazionale d'arte moderna di Roma, dove i  comunisti del dopoguerrra videro la colata della lava come metafora del  fascismo.
 Infatti negli  gli anni del dopoguerra  l'artista si poteva esprimere "liberamente", ad esempio con i "Funerali di Togliatti" (1972), dove in una selva di bandiere rosse, rendeva omaggio al "migliore".

lunedì 13 maggio 2013

SEMPRE IL MARE UOMO LIBERO AMERAI



L’uomo e il Mare

Sempre il mare, uomo libero, amerai!
perché il mare è il tuo specchio; tu contempli
nell’infinito svolgersi dell’onda
l’anima tua, e un abisso è il tuo spirito
non meno amaro. Godi nel tuffarti
in seno alla tua immagine; l’abbracci
con gli occhi e con le braccia, e a volte il cuore
si distrae dal tuo suono al suon di questo
selvaggio ed indomabile lamento.
Discreti e tenebrosi ambedue siete:
uomo, nessuno ha mai sondato il fondo
dei tuoi abissi; nessuno ha conosciuto,
mare, le tue più intime ricchezze,
tanto gelosi siete d’ogni vostro
segreto. Ma da secoli infiniti
senza rimorso né pietà lottate
fra voi, talmente grande è il vostro amore
per la strage e la morte, o lottatori
eterni, o implacabili fratelli!

Charles Baudelaire


immagine di Teoderica

venerdì 10 maggio 2013

NOVECENTO A FORLI' (settima parte)




Concerto di Felice Casorati

Felice Casorati, noto pittore italiano, nasce a Novara il 4 dicembre 1886 e vive in varie città, seguendo gli spostamenti della famiglia, dovuti alla carriera militare del padre, erede di una famiglia di medici e matematici di chiara fama. Appassionato di musica, scopre la pittura solo verso i diciotto anni quando gli regalano una scatola di colori. Silenzio metafisico interrotto da una luce fredda e tagliente. Realismo analitico immerso in un'atmosfera di magia che evoca una dimensione esistenziale ulteriore. Precisione di contorni, esattezza costruttiva, rigido impianto prospettico. Le opere di Felice Casorati, mirabili per pulizia formale, giocano sulla compresenza di due aspetti, il fisico e il mentale: le figure, gli oggetti, lo spazio sono desunti da una quotidianità dimessa e anonima, ma subiscono  attraverso il suo pennello una trasformazione "alta"questo concerto evoca   i concerti  del Giorgione, il mistero è lo stesso.

Conversazione platonica di Felice Casorati

 Inizialmente Casorati si esprime con il liberty, eleganza  decorativa ed astrattismo reale poi  il 1912  segna  una svolta  importante per Felice Casorati che realizza opere in cui è evidente la ricerca di una sintesi tra simbolismo e realismo tradotta in forme nitide, psicologicamente straniate, accompagnate da un aspetto tecnico complesso ed elaborato: il pittore usa infatti colori stemperati con glicerina che vela con cera trasparente. Felice Casorati, nel 1911, scrive "Vorrei saper proclamare la dolcezza di fissare sulla tela le anime estatiche e ferme, le cose immobili e mute, gli sguardi lunghi, i pensieri profondi e limpidi, la vita di gioia e non di vertigine, la vita di dolore e non di affanno".

Scolari di Felice Casorati
 Allo scoppio del conflitto mondiale, Felice Casorati viene richiamato alle armi e, nei tre anni di guerra, riesce a dipingere solo due grandi pannelli per la mensa ufficiali e l'inquietante dipinto antimilitarista "Giocattoli"  al suo ritorno si stabilisce a Torino dove conosce l'antifascista Gobetti ed il gruppo degli «Amici di RivoluzioneLiberale» al quale aderisce nel 1922. Per questa amicizia nel 1923 viene arrestato e fa alcuni giorni di carcere; liberato, Casorati nel futuro si astiene da ogni azione in evidente conflitto con il regime fascista. Eppure "Scolari" vi pare una scuola che possa piacere alle idee vincenti ed incalzanti del Duce?
Qui c'è una critica feroce  al regime, testimonianza che il vero artista   lo si incarcera ma le sue idee non si ingabbiano mai.

Flora di Gerardo Dottori

E' il futurismo che guarda con ottimismo al fascismo e al futuro,  osservate l'esuberanza dei colori di questa Flora, è del 1925,  definisce il proprio tempo, gli uomini dei ruggenti anni Venti usavano prevalentemente l’aggettivo moderno. Erano moderne le automobili con le loro fiammanti carrozzerie, la vita notturna sfolgorante di luci artificiali, gli aerei, i grattacieli, i colori puri e le linee dinamiche, l’esotismo, il glamour infine il lusso sorto sulle ceneri della Grande Guerra. Moderno era il progresso tecnologico che disegnava meravigliosi orizzonti di pace e di ricchezza. Eppure questa visione da perla si trasformò in pirla.

                                                Maschere di Cesare Sofianopulo

Oggi pochi ricordano di aver conosciuto Cesare Sofianopulo, ma finché circolava per Trieste, era ben noto non soltanto agli intellettuali,  in quanto pittore, poeta, traduttore, fine dicitore, storico dalla memoria formidabile, ma forse ancor più alla gente comune per lo spirito, la vivacità, le perle della sua vasta cultura. 
In forza della sua passione per il bello e per la poesia, teneva recite di versi da lui tradotti non solo a Trieste e in varie città d’Italia, ma anche in piccole località del Friuli: affermava infatti che l'attenzione di tali uditori era gratificante spesso ancor più di quella riscontrata nelle grandi città. Cesare Sofianolupo  si ritrae in vari modi,da buffone, da donna, da frate, da gentiluomo e al centro come un inquietante clown verde, chi è, chi siamo? Dove andiamo? Sembra di stare andando verso al baratro...non si sbagliava.



 






                                                        


                                                              

martedì 7 maggio 2013

NOVECENTO A FORLI' ( sesta parte)

 
                                                                   Athena di Arturo  Martini


Proseguiamo la visita al piano superiore, mi soffermo catturata dalla primitiva forza che scaturisce da questa elegante scultura, l'autore  è Arturo Martini. Figura dominante nella scultura tra le due guerre è quella di Arturo Martini che, nato a Treviso nel 1889, frequentò a Faenza la scuola della ceramica, e successivamente studiò scultura a Treviso; nel 1909, a Monaco, fu allievo di A. Hildebrand; nel 1911 fu a Parigi. A Roma, dopo la prima guerra mondiale, fece parte del gruppo dei Valori plastici.


                                                               Atteone di Angelo Biancini

 Vi ho scritto che il grande Arturo Martini, lavorò e studiò a Faenza,  in Romagna vi presento quindi un  romagnolo: Angelo Biancini   una delle figure più rappresentative della scultura e dell’arte ceramica italiana del Novecento. Nato a Castel Bolognese nel 1911, il suo nome rimane legato a Faenza, città dove ha lavorato fino alla morte e dove entra, nel 1942, all’Istituto d’Arte per la Ceramica assumendo successivamente la cattedra di Plastica che era stata di Domenico Rambelli. Manterrà questo incarico fino al 1981, contribuendo a formare, nel suo studio all’interno della scuola, varie generazioni di artisti e di ceramisti.


                                                    I tre chirurghi di Ubaldo Oppi

Si può fare un capolavoro ritraendo tre chirurghi, evidentemente sì, questi hanno l'aura di tre filosofi  quattocenteschi. Ubaldo Oppi dolore e la tristezza si affacciano presto nella sua vita; infatti da bambino vede morire quattro fratellini in tenera età, bolognese di nascita ed europeo d' adozione, soprattutto per quanto riguarda gli anni giovanili, che precedono il grande successo ottenuto negli anni Venti con il gruppo del Novecento capitanato da Mario Sironi e da Margherita Sarfatti.  Autodidatta appena diciottenne, nel 1907, Oppi e' alla scuola viennese di Klimt, e quattro anni dopo e' a Parigi, con Severini e Modigliani. Ma  il vero innamoramento di Oppi  non fu per le avanguardie parigine, ma per il nitore austero del Quattrocento italiano.

 
                                                      Autoritratto di Achille Funi

Come vedete è un ritratto di un pittore, notate la muscolatura, la possanza, qui a Novecento ci sono opere che testimoniano il culto del corpo, l'amore per la ginnastica, per lo sport, occorre dare merito a ciò, il corpo va ben tenuto, è il nostro tempio. Achille Funi, ferrarese, allo scoppio del conflitto, a cui partecipa come volontario, si ritrova a fianco di Umberto Boccioni. Gli anni del dopoguerra sono decisivi per la sua evoluzione pittorica: tenuta nel 1920 a Milano la prima mostra personale si avvicina a Margherita Sarfatti, aderisce al clima del "ritorno all'ordine", recuperando l'eredità pittorica del Rinascimento italiano in una serie di tele capitali.


 Impressionante questo pugile, sembra abbia esalato l'ultimo respiro, eppure è pronto  all'attacco. La foto non rende bene, ma la verdicità quasi tattile del tessuto delle mutande è  pari  al volto coperto della "Velata" di Palazzo Barberini e ricorda pure il Battesimo dei neofiti di Masaccio. Un ritorno all'antico, all'Atene di Pericle, al Rinascimento di Firenze.  Francesco Messina è uno dei maggiori  esponenti della scultura italiana, celebre è il Cavallo morente, simbolo della RAI.

Insieme a Giacomo Manzù, Arturo Martini e Marino Marini, Francesco Messina è considerato uno dei maggiori esponenti della scultura figurativa del Novecento. Nato artisticamente nelle botteghe genovesi, Messina inizia ad esporre le proprie opere fin da giovanissimo nelle più prestigiose manifestazioni internazionali dove si fa notare per "un fare semplice e grandioso e per procedimento idealistico e classico, in grado di dar vita a forme che restano come immagini ideali" (Carlo Carrà, 1929). La sua carriera attraversa tutto il ventesimo secolo ed è influenzata dai più grandi artisti e scrittori del novecento. Tra le sue opere non si possono non citare la Santa Caterina da Siena sul lungotevere di Castel Sant'Angelo, la Via Crucis di San Giovanni Rotondo, il celebre Cavallo morente della RAI, il Monumento a Pio XII nella Basilica di San Pietro.

domenica 5 maggio 2013

UNA ROSA DI MAGGIO


L’INFINITA’
L’infinità degli occhi tuoi
come l’infinità degli oceani
come l’infinità dei campi di girasole
come l’infinità della lontananza
che diventa vicinanza
perché attraversa la vita mia

Cosimo de Bari

Questa poesia è dell'amico blogger Cosimo de Bari, qualcuno ha scritto che ciò che piace si ruba, non so se è proprio vero, ma in questo caso l'ho fatto. Sono andata nel suo sito ed ho rubato questa poesia,una poesia bella come lo scroscio di una risata, che io immagino sempre come una collana di perle che ruzzolano, lo stesso effetto del suono del pianoforte, lo stesso profumo di una rosa di maggio.
Quindi Cosimo devi essere contento del furto perchè dimostra la beltà della tua poesia.

immagine di Teoderica

mercoledì 1 maggio 2013

INNO ALLA BELLEZZA AL MUSEO NAZIONALE DI RAVENNA

INNO ALLA BELLEZZA

Venga tu dall'inferno o dal cielo, che importa,
Bellezza, mostro immane, mostro candido e fosco,
se il tuo piede, il tuo sguardo, il tuo riso la porta
m'aprono a un Infinito che amo e non conosco?

Arcangelo o Sirena, da Satana o da Dio,
che importa, se tu, o fata dagli occhi di velluto,
luce, profumo, musica, unico bene mio,
rendi più dolce il mondo, meno triste il minuto?

                                                                  Charles Baudelaire



Al Museo Nazionale di Ravenna è stata inaugurata la mostra “Riccardo Licata e i maestri del Mosaico”.   accanto a Licata, Maestri come Afro, Mirko Basaldella, Giuseppe Capogrossi, Giorgio Celiberti, Carlo Ciussi, Mario Deluigi, Piero Dorazio, Mimmo Paladino, Armando Pizzinato, Giuseppe Santomaso, Gino Severini, Emilio Vedova, Giuseppe Zigaina.
In una sezione della mostra anche i mosaici di artisti  contemporanei.
La rassegna ricostruisce l’esperienza artistica di Licata, il suo lungo cammino nell'arte; durerà sino al 26 maggio 2013, il lunedì sarà il giorno di chiusura, l'ultimo ingresso è alle ore 19 e alla mattina apertura alle ore 8,30.

 
L'idea di far parlare opere contemporanee con l'antico è affascinante e non sempre il "vecchio" cede il passo al "giovane" anzi rivaleggia per freschezza e purezza di linea.

Per  chi ha in mente un breve viaggio o una gita è bene prendere due piccioni con una fava, con l'aggiunta di un solo Euro al costo del biglietto per il museo,  ci si inoltrerà in un luogo magico, carico di storia e ricco di reperti ed opere d'arte, e sala dopo sala arriverà  a quella delle icone dove inizierà  il percorso "bipolare" fra antico e contemporaneo.


I musei  sono ormai essi stessi come contenitore un'opera d'arte, la costruzione è ormai storicizzata e le pareti hanno assorbito la bellezza delle opere, i musei sono come le chiese, si respira la stessa aria  di sacralità, anche se quella museale è più laica.
Non sarebbe il momento ma lo scrivo, anche il laico ha una sua religione  determinata da riti e simboli.
Scegliere  il museo per le proprie passeggiate è una buona idea, sia d'inverno quando è freddo, sia d'estate, quando le spesse mura tengono lontano il caldo, andare al museo fa diventare più buoni, perchè la bellezza educa all'armonia.


Della mostra vi  dico poco, vedrete qualcosa dalle pessime foto che ho fatto io, è interessante confrontare l'antico che ha una ricerca decorativa  ma fortemente simbolica e pregnante, mentre nel mosaico contemporaneo intrigante è  la ricerca dei materiali , la ricerca simbolica diviene vuota, il simbolo non è più nè rito nè sacro, e il colore abbagliante diviene solo un lustrino per occhi non attenti.






immagini : Museo Nazionale e Mostra di Licata e Maestri contemporanei a  Ravenna