venerdì 29 maggio 2015

TROVATO COTTO E MANGIATO l'ortica




L’ortica è un’erba spontanea  comunissima fra le macerie, nei campi e negli incolti, considerata una specie infestante, il suo nome deriva dal latino  urere  che significa bruciare“bruciare”, lo so bene io che caddi da bambina in un grosso cespuglio a sedere scoperto. Ha stelo eretto, sottile, sul quale sono inserite foglie  ovali e allungate e seghettate sul margine. I peli urticanti sono una difesa della pianta per scoraggiare l’uso alimentare degli animali e dell’uomo, che per questo ha cercato sempre di eliminarla ma sembra che per ovviare al bruciore, basti strofinare sulla parte interessata le foglie dell’acetosa che cresce spesso nelle sue vicinanze. L’uomo fin dalla preistoria ha usato questa pianta per nutrimento e per confezionare tessuti. In Germania, durante la prima guerra mondiale, quando si verificò una forte carenza di cotone, venne usato un  tessuto  ottenuto dall’ortica. I Romani ne apprezzavano le proprietà curative e afrodisiache. I medici latini consigliavano la cosiddetta “orticazione” nei casi di reumatismi cronici, in pratica si percuoteva il malato con fusti di ortica per produrre  un forte arrossamento, chissà il malcapitato poteva anche essere abbandonato dai lancinanti dolori reumatici… io comunque non provo il trattamento. Petronio consigliava agli uomini di farsi frustare sotto l’ombelico, sulle reni e sulle natiche, con un mazzo di ortiche per riacquistare la virilità, e pertanto era diffuso il detto: “Si quis in urticas minxerit, libidine adficietur”( se un uomo l’ha messo nelle ortiche sarà poi efficientissimo). I Greci antichi ne erano ghiotti, e consigliavano di raccoglierla in primavera, per poter gustare i getti più teneri anche in insalata. Al posto degli spinaci può essere utilizzata come contorno, cotta e condita con olio e limone o ripassata al burro, oppure insieme con la ricotta, può essere inserita nei ripieni per i ravioli e nelle torte rustiche. Con i germogli se ne può fare un’ottima  frittata o un gradevole risotto o unirla con altre erbe nelle zuppe di verdure e nei minestroni.  Si può usare per il ripieno dei crescioni o per fare gli gnocchi o le tagliatelle verdi. Ma un piatto veramente facile, veloce e buono sono le scaloppine all’ortica. Salate e pepate le fettine poi infarinatele e scottatele in padella con l’olio. Lasciatele riposare intanto nel loro fondo di cottura mettete i pomodori e le ortiche sminuzzate, cuocete un poco poi reinserite le fettine di carne, lasciatele insaporire un poco e spolverizzate con prezzemolo, è un piatto buono anche freddo… ma voi non dimenticate di mettervi i guanti per raccogliere le ortiche.
 

domenica 24 maggio 2015

TROVATO COTTO E MANGIATO i fiori




In primavera è bello passeggiare in campagna e in luoghi incolti, raccogliendo le erbe ma anche i fiori con cui si possono effettuare piatti buoni e belli. I fiori sono utilizzati in cucina sin dall’antichità e la tradizione mediterranea ne usa di tante tipologie diverse. Utilizzare i fiori in cucina può rendere molto particolare un piatto tradizionale, con i fiori possiamo abbellire e colorare le nostre creazioni culinarie. I fiori da mangiare io li uso  in particolar  modo nelle insalate,usando le pratoline l’effetto visivo sulle foglie verdi è delizioso come pure il gusto. Con questi fiori elaboro un altro piatto, dei crostini su cui spalmo del mascarpone a cui ho aggiunto pratoline tritate, un po’ di sale e pepe e naturalmente sopra un fiore integro. Non tutti i fiori sono commestibili, non toccate l’azalea e l’oleandro i quali hanno foglie e fiori velenosi. Nella lista dei buoni da mangiare ce ne sono tanti, ad esempio:  aneto, arancia, basilico, sambuco, begonia, viola, garofano, girasole, primula, menta, mirto, ginestra, malva, pesco, melograno, con quest’ultimo si abbina bene la carne, alla fine della cottura aggiungere i fiori e mantecare. Un’idea che stupisce piacevolmente gli ospiti è il ghiaccio coi fiori dentro, semplicissimo da fare. In Romagna la raccolta e l’uso delle erbe e dei fiori per cibarsene e per l’utilizzo erboristico è una tradizione. Mia nonna preparava le frittelle con i fiori d’acacia, questi fiori  candidi hanno un profumo intenso paragonabile solo all’invadenza della pianta. Per le frittelle occorrono i  fiori, le uova, il latte e la farina, un po’ di zucchero e un pizzico di lievito, quindi si frigge in olio versando il composto a cucchiaiate in olio bollente. A Casola Valsenio in maggio si svolge la Festa delle  Erbe in  Fiore. La Festa unisce visite guidate alla scoperta di fiori, erbe selvatiche e officinali nel famoso Giardino delle Erbe, che accoglie oltre 400 specie di erbe officinali ed aromatiche, a degustazioni di ricette a base di erbe e fiori, conferenze e laboratori. Nei ristoranti del luogo si possono gustare:  cream caramel con il basilico o gelato con rose accompagnato da salsa di viole brinate con lo zucchero a crudo. Non è difficile brinare un fiore, la tecnica è semplice: basta spennellare con una chiara d’uovo sbattuta un fiore e cospargerlo di zucchero semolato e farlo poi riposare per qualche ora.   

martedì 19 maggio 2015

TROVATO COTTO E MANGIATO la portulaca




Questa è da sempre disprezzata, chiamata erbaccia, il suo nome è portulaca ma l’hanno infamata con nomi poco simpatici infatti è chiamata anche porcacchia, erba dei porci ed altro ma in Romagna la chiamiamo porcellana. Nonostante offra da tempo immemorabile delle considerevoli risorse alimentari, non è ben vista dalla gente di campagna che la considera ancora oggi una pianta infestante. Tuttavia viene somministrata spesso come nutrimento agli animali: polli, conigli e maiali ne sono molto ghiotti. La portulaca era già conosciuta ed apprezzata in tempi assai remoti. Il nome portulaca etimologicamente deriva dal latino “portula” cioè “piccola porta”, “oleraceus” è invece una parola latina che significa erbaceo. Nella bassa latinità il nome era stato trascritto in “porcilaca” e pare che questa alterazione provenga dall’uso assai diffuso di somministrare questa pianta ai porci come alimento. Le foglioline hanno sapore acidulo leggermente salino e molti le masticano allo stato naturale per calmare la sete. In India, sua probabile terra d’origine, la portulaca è da millenni un alimento frequente. L’uso più semplice consiste nel mescolare le foglie più tenere nelle insalate, specie in quelle di pomodoro il suo sapore assomiglia un poco a quello del peperone. Lega bene con altri ortaggi quali fagioli, lenticchie, piselli, barbabietole rosse, finocchi, sedani, carote e cipolle. Può venire lessata oppure utilizzata per preparare una minestra unita a   fagiolini verdi o piselli. È ottima anche cucinata come gli spinaci e poi passata in padella con la solita dadolata di pancetta. Recentemente, con la riscoperta delle tradizioni, la portulaca viene conservata sott’olio. Si prepara facendola prima bollire per un paio di minuti in acqua e aceto, poi, dopo averla asciugata si sistema in barattoli di vetro con l’aggiunta di olio e di erbe aromatiche a piacere, come il finocchio selvatico, le foglie di alloro o spicchi di aglio. Io solitamente la preparo in un’insalata mista di pomodori, cetrioli e foglioline dell’erbetta oppure portulaca, uova sode e maionese, accompagnate  da un bicchiere di vino romagnolo bianco il Pagadebit …  il nome deriva dal fatto che il contadino, dato il vitigno molto resistente a qualsiasi condizione climatica, riusciva a pagare i debiti contratti anche se con gli altri prodotti era andato male.    

giovedì 14 maggio 2015

TROVATO COTTO E MANGIATO il rosolaccio




Il rosolaccio  non è altro che il papavero, sì proprio quello che cresce fra il grano con le caratteristiche campane rosse, chi non ama i papaveri? E’ un’erba molto buona da mangiare e qua da noi le massaie di una certa età ne vanno a raccogliere a iosa, si trovano preferibilmente vicino ai campi di grano, ma un po’ ovunque, vanno raccolti prima che abbiano il fiore. Il nome del papavero, secondo una fantasiosa etimologia deriverebbe dal celtico papa, cioè “pappa”, in riferimento al fatto che nella pappa dei bambini veniva inserito il succo di questa pianta per farli dormire… è pur sempre della famiglia degli oppiacei. Sembra che il termine “alti papaveri”, che si usa per indicare personaggi importanti, derivi da un episodio in cui Tarquinio il Superbo, uno dei re di Roma, indicò al figlio Sesto il modo di conquistare una città, cioè di uccidere gli uomini che rappresentavano le più alte cariche, e con la spada intanto recise con un solo colpo i fiori dei papaveri che erano nel campo dove si trovavano. E un tempo lontano quando le donne non avevano il rossetto si truccavano le gote e le labbra col rosso dei loro petali. Ma andiamo in cucina e iniziamo a padellare i rosolacci sia crudi che cotti. Li possiamo sbollentare e poi passare in padella con olio, semplici oppure con una dadolata di pancetta o bacon. Il risotto è ottimo, un riso semplice, sfumato col vino bianco, aggiungendo a metà cottura i rosolacci e mantecare poi con burro e parmigiano. Una frittata è sempre gradita, e il ripieno per i crescioni o i tortelli assieme ad altre erbe è unico.  Ma c’è una ricetta che è detta minestrella  che contiene un misto da 10 a 30 erbe selvatiche tra cui naturalmente il rosolaccio, si lessano le verdure, lasciandole poi in acqua fredda per qualche ora intanto si lessano i fagioli ( io ho usati quelli in scatola). Preparare quindi un soffritto con il lardo o la pancetta, poi mettere la verdura tagliata finemente, aggiungere i fagioli precedentemente lessati che però metà vanno messi interi e per metà schiacciati. Ricoprire con l’acqua di ammollo dei fagioli e lasciare cuocere per circa un ora e mezzo, si può aggiungere minestrina fine del tipo “mafrigul”   (manfettini) o crostini di pane. Poi c’è la “paparina” dei leccesi, si sa che in Puglia si mangia da re, si rosola uno spicchio d’aglio ( io non lo metto) si uniscono le paparine (i rosolacci)si sala e si mette il coperchio, si mescola spesso e a metà cottura si aggiungono le olive nere, a fine cottura un poco di peperoncino… e qui andiamo con un bicchiere di vino Albana secco.

sabato 9 maggio 2015

TROVATO COTTO E MANGIATO la malva




La malva, quella piantina che ha le foglie frastagliate ed i fiori lilla venati di rosa; quella che cresce lungo il ciglio delle strade e nei campi e che molti  calpestano scambiandola per erbaccia. Questa piantina che neanche ci soffermiamo ad osservare, non consideriamo belli i suoi fiori, in giardino la sradichiamo come infestante, ebbene non solo è commestibile, ma è addirittura miracolosa. Ebbene sì, la Malva, da sempre è nota per le sue mille proprietà salutari , contro il raffreddore, il mal di testa, gli occhi gonfi ed affaticati, Il mal di gola e tanti altri mali. Lo sapevano anche  gli antichi romani ed i greci, le sue proprietà erano ben note anche nel Medioevo in cui si credeva che la Malva fosse un potente afrodisiaco. Sembra che la malva fosse chiamata “omniamorbia”, ossia rimedio contro ogni male, forse fu per questi motivi che la tradizione popolare identificava nella malva un simbolo dell’amore materno, proprio per il suo aiuto sempre sollecito ed efficace contro molte sofferenze. Della Malva si utilizza tutto dalle foglie, ai germogli, ai fiori e persino le radici. Dopo la raccolta basta mettere le foglie e i fiori all’ombra e aspettare che si secchino poi, una volta secchi vengono messi in vasi di vetro ben chiusi e in luoghi bui. La tisana miracolosa è semplicissima: si  mettono  15 grammi di foglie e fiori essiccati in mezzo litro di acqua bollente,  e si lascia riposare riposare per circa 5 minuti e la tisana è pronta. Pensate che si può fare anche una crema antirughe: occorrono 120 grammi di malva fresca, si tritura e si mette a bollire in 80 grammi di acqua con 150 grammi di burro, si cuoce a fuoco lento finché l’acqua non è evaporata, si filtra, ed ecco la crema. Ho trovato la ricetta in internet, la proverò presto e poi vi dirò. Se vedrete una mia nuova foto nel profilo non mi riconoscerete sarò diventata una ventenne! La malva l’ho scoperta da poco, l’ho sempre apprezzata ma avevo dei pregiudizi, mi dicevano: “ma dai Paola, va bene che Sant’Antonio si innamorò di un porco, ma tu esageri”.Invece questa pianta è miracolosa, va bene non ho ancora testato la crema antirughe, ma in cucina l’ho usata ed ha un gusto dolce e delicato, la si può usare in insalata aggiungendo anche i fiori per ottenere un piatto buono e bello, la si usa in zuppe e risotti e la frittata è deliziosa, insomma si fanno tutti gli usi degli spinaci o delle erbette, ci si può addirittura fare un buon liquore rilassante… che non ho mai fatto e non ho la ricetta, ma siccome ne ho una di un liquore buonissimo alle arance vi posto questa:

Ingredienti (per circa 1 litro e mezzo):

4 arance bio non trattate

500ml di alcool puro a 90°

650gr di acqua naturale

400gr di zucchero.



In una pentola scaldate l’acqua con lo zucchero mescolando finché non è completamente sciolto e poi lasciare raffreddare. Aggiungete le scorze delle arance (senza la parte bianca) e chiudetele in un contenitore con lo sciroppo. Macerare il tutto a temperatura ambiente in un luogo buio per circa 1 settimana, mescolando ogni giorno. A questo punto filtrare e imbottigliare.