lunedì 30 novembre 2015

LA LAVANDA E' UN FIORE CHE PARLA

Il 24 giugno c'era in tempi antichi e c'è anche oggi, la fiera di San Giovanni, a Cesena, in Romagna.
La prima volta a cui partecipai fui sedotta dalle innumerevoli bancarelle che vendevano mazzetti di lavanda.
L'impatto visivo di montagne viola illuminate dal giallo del sole creava un gioco di  colori complementari naturali, poi arrivava alle narici il profumo intenso, pungente, fresco.
Arrivata a casa consultai il mio libro di giardinaggio, andai da una mia conoscente che aveva la lavanda, mi feci dare due rametti, li piantai, li innaffiai...l'anno dopo avevo già le spighe da regalare alle amiche, perchè dovete sapere che il 24 giugno donare la lavanda è un potente porta fortuna, oltre che profumare gli armadi.
Facevo dei mazzetti, li legavo, poi piegavo gli steli attorno ai fiori, quindi  legavo gli steli con un nastro ed erano pronti per essere messi tra i vestiti.
Ora  le piante della  lavanda  si sono seccate, è finito il tempo in cui credevo alla fortuna e alle streghe, è finito il bel tempo. 
La lavanda è una pianta cespugliosa, assai ramificata, perenne, rustica, resistente, sempreverde. I fiori, viola,  sono piccoli, raccolti in spighe, proprio come una spiga di grano colorata di viola/blu. 
Ha profumo  di pulito, di biancheria stesa al sole, amarognolo e aromatico.  
É dai tempi più antichi considerata simbolo della purezza, della virtù e della serenità, capace di attrarre verso il corpo energie positive. 
Gli antichi greci la usavano nei riti di purificazione per allontanare ogni tipo di negatività e per favorire la felicità, l'amore e il raggiungimento della pace interiore.
La lavanda era dedicata, nella mitologia greca, a Ecate. 

Il 24 giugno, le streghe si ritrovavano per festeggiare sotto ad un noce mentre nei villaggi la popolazione spaventata metteva  la lavanda sulle porte per tenere lontane le fattucchiere.
Presso gli antichi Romani veneravano Cerere dea delle messi, e proprio in questi giorni cadeva la festa di Fors Fortuna, la dea bendata del caso. 
Nella liturgia Cristiana il 24 giugno si ricorda San Giovanni Battista e la tradizione vuole che esista una connessione fra il sole che prende a calare e il Santo “Giovanni che piange”.  
La festa di San Giovanni assume perciò un duplice significato: propiziatorio e purificatore. I contadini  vanno in processione con l'immagine del Santo.  
Grandi falò, simbolo della potenza del sole, si appiccano nei poderi per tener lontani spiriti maligni, streghe e animali nocivi.   
Le erbe colte all’alba del 24 giugno bagnate dalla rugiata sono magiche. Occorre raccogliere 9 erbe diverse:  artemisia, salvia, iperico, basilico, lavanda, felce, rosmarino, menta e prezzemolo, con questo mazzolino si avrà energia positiva. 
Dalla tradizione popolare arriva la tisana contro la tosse: bisogna fare un infuso con acqua bollente e fiori di lavanda (anche essiccati), filtrare il tutto e consumarne da una a tre tazze al giorno, aggiungendovi una piccola scorza di limone e un cucchiaio di miele per dolcificare.


SOGNO
 

O penso: e vedo (o sogno?) 
un piccolo villaggio, una gran pace: dentro, un cantar di galli. 
E il piccolo villaggio si smarrisce in un fioccar di neve. 
Entro il villaggio, in abiti da festa, una casetta bianca. 
Furtiva accenna una testina bionda tra le cortine mosse. 
Schiudo la porta: e i cardini, stridendo, chiedono fiochi aiuto. 
Poi, nella stanza, un timido e sommesso profumo di lavanda.

 Rainer Maria Rilke









 

mercoledì 25 novembre 2015

LA CALLA E' FIORE CHE PARLA


Le calle sono il fiore preferito di mia madre, come lei sono algide, eleganti, fredde, severe e dritte, ma le amo anche io anche se sono il mio opposto, anzi è proprio per questo che le ammiro.
Tanti anni fa mi regalò i rizomi di calla, la sarta dove andavo ad imparare a cucire, le piantai in giardino, e per anni  sono fiorite, finchè stanca di loro perchè ad agosto perdevano le foglie e scomparivano, lasciandomi l'aiuola vuota, le ho tolte per fare posto ad un arbusto sempreverde.
Poi mi sono pentita ma come si fa a sapere cosa si vuole negli anni a venire?
Negli anni venti, l'artista polacca Tamara de Lempicka le ritrae molte volte cogliendo l'anima di questo fiore.
 Le calle compaiono nei dipinti della Lempicka fin dal 1930-31, e diventano protagoniste di nature morte in cui sono composte in armoniosi mazzi in   vasi di vetro dove tutto si solidifica: i gambi sembrano affondare in gelatina e non in acqua, le foglie si accartocciano rigide come fogli di carta, i fiori appaiono carnosi e come di gesso. La calla (dal greco da 'kalos' = bello) è una pianta ornamentale sempreverde originaria dell'Africa meridionale.
Generalmente i fiori più utilizzati nelle composizioni e negli addobbi floreali sono quelli di colore bianco, considerato simbolo di purezza, verginità.
La calla è adattissima per composizioni floreali moderne, ma anche semplicemente a grandi mazzi immersa in acqua in vasi di cristallo. Quello che normalmente viene chiamato "fiore" vale a dire la parte bianca a forma di imbuto, sono in realtà delle foglie modificate che avvolgono i fiori per proteggerli. 
Secondo una mitologia pagana la calla ha origine dalle lacrime che versò Eva quando fu cacciata dall'Eden; secondo invece la mitologia cristiana le calle rappresenterebbero le lacrime versate dalla Vergine Maria ai piedi della Croce dove fu crocifisso il figlio Gesù.
La calla è considerata simbolo della purezza della sposa   ma è presente anche nelle corone funebri (in particolare in quelle dedicate ai giovani deceduti prematuramente) e coltivata nei cimiteri.
Il pistillo lungo e giallo che si chiama spadice della calla fu considerato un simbolo fallico dai romani.
 La mitologia romana associò la calla a Venere e ai Satiri per l’ardore lussurioso: la dea della bellezza, dell'amore, della fertilità emerse dal mare e maledisse la perfezione di questo fiore temendone la rivalità, così che gli fece nascere un vistoso lungo spadice per abbruttirlo.
 Il singificato della calla diventò simbolico dell’erotismo, della sessualità e della fertilità anche tra gli antichi Greci. Secondo un mito greco, la prima calla germinò da alcune gocce del latte materno cadute a terra dal seno di Era (o Hera), dea del matrimonio, mentre da quello sprizzato in cielo si formò la Via Lattea.
Successe dopo che la dea si risvegliò e adirata allontanò colui che si trovò attaccato a poppare per assimilare i poteri della divinità: era Eracle, il figlio illegittimo avuto con uno stratagemma da Zeus.
I fiori sono tutti  unici e particolari, ma certo la calla è uno dei  più strani, un fiore che non è altro che una foglia ed un fiore che sembra uno stiletto, uno stelo lungo e carnoso e foglie ampie ed avvolgenti...insomma racchiude quasi un amplesso.


immagine di  Teoderica

venerdì 20 novembre 2015

Il raggio dorato di Teoderica

                                                           Il raggio dorato di Teoderica
                                                                Di Gaetano Barbella



La casualità a volte è sorprendente per i risultati che si determinano, per esempio, nel concepire
immagini come questa in alto, che l'amica Paola Tassinari ha disposto, non so quando, come icona del
suo blog, http://teodericaforum.blogspot.it/.
All'occhio “profano”, può non dire nulla che lo desti, come davanti ad un'opera d'arte famosa, ma la
luce che da essa promana, essendo diversa dal solito, non manca, ad un certo punto, per “sua necessità
cosmica”, di giungere là dove è destino che arrivi trionfante.
Ho sempre ritenuto in Paola Tassinari una vena artistica particolare, il cui genere e natura è difficile da
intravedere, ma che alla luce di una certa indagine geometrica si rivela in modo sorprendente. Non è un
procedimento consueto nell'arte, almeno in quella moderna, poiché si tratta di rintracciare eventuali
telai strutturali che gli artisti del Rinascimento usavano allestire a supporto delle loro opere. È assai
noto che le loro geometrie più adottate erano all'insegna della Divina Proporzione, meglio conosciuta
come la Sezione Aurea, oppure il ricorso a configurazioni di poligoni regolari stellati, come il
pentagramma o l'esagramma e via dicendo.
Non che Paola Tassinari si sia dato da fare per predisporre una sua geometria in armonia con la grafica
dell'icona. Tuttavia, in modo a lei ignoto e a sua insaputa, la sua mente vi ha contribuito tale da
considerarla l'artista in lei.
Ma entriamo nel merito di questa icona che vuol raffigurare appunto la conduttrice del blog suddetto e
che qui si fa chiamare Teoderica, un nome chiaramente legato alla storica Teodora (497 – 548)
l'imperatrice Bizantina, Augusta dell'Impero romano d'Oriente.
Di Teodora imperatrice mi resta impresso della sua storia il tempo in cui era una donna di umili origini,
e non tanto il seguito della sua vita che l'arte pittorica e scultorea ha immortalato. È così che la vedo
legata all'amica Teoderica, di un'origine, secondo me, la stessa da cui si diparte appunto “Il raggio
dorato di Teoderica” del titolo di questo scritto, come a immaginare che solo da qui si genera
un'auricità insolità e singolare.
Può essere che quest'“oro eterico” si manifesti nello splendore, come fu per Teodora imperatrice
bizantina, oppure nell'ombra interiore dell'anima, al limite, perché anche qui si può imperare. Ma c'è
sempre l'opportunità, perché l'anima “imperatrice” conceda al corpo, in cui alloggia, parte della sua
corona regale, almeno un suo raggio aureo. Ed è ciò che ora mi propongo di mostrare appunto con
l'ausilio di una mia concezione peculiare di geometria intuitiva e non suggerita da testi di accademia
d'arte.
Tutto ha avuto origine, da poco, dall'essere stato attratto da uno dei due occhi del volto di Teoderica
dell'icona, quello di destra di lei, in prossimità del libro dai bordi colorati in rosso. Più che l'occhio in
questione è stata la sua estremità esterna ad attirarmi, tanto da farmi pensare ad un certo “guardare con
la coda dell'occhio”, pur fissando comunque lo sguardo sul davanti.
La frase “guardare con la coda dell'occhio”, normalmente viene usata per dire sbirciare, ossia per
osservare senza farsi notare, ma anche per dire dell'altro. Nel nostro caso potrebbe far pensare che
Teoderica (ovvero Paola), per sua natura, sia incline a riflettere in un modo insolito, cioè non
astraendosi dal presente, e perciò pensare mentre è portata ad osservare normalmente il quadro frontale
della realtà del momento. Facendo un parallelo, è così per i matematici in genere, e anche per gli artisti
e tanti altri, poiché la loro mente è occupata in modo “binario”, come se fosse un pianeta illuminato da
due soli.
Ed ora si osservi la stessa icona mostrata in precedenza su cui ho disegnata la geometria argomentata
che mi appresto a commentare.

Il rettangolo dell'icona presenta sulla verticale un asse che lo divide in due parti che rispettano la
Divina Proporzione, ossia la Sezione Aurea. Perciò considerando le due parti, il lato del rettangolo più
grande è 0,618 rispetto al lato del rettangolo dell'icona stabilita uguale a 1.
Analogamente per l'asse orizzontale che divide il rettangolo dell'icona si determina altrettanti due parti
che rispettano la Divina Proporzione. Dunque, anche qui, considerando le due parti, l'altezza del
rettangolo più grande è 0,618 rispetto all'altezza del rettangolo dell'icona stabilita uguale a 1.
Ecco che si capisce a volo la mia acutezza nell'essere stato attirato dalla “coda dell'occhio” destro
accanto al libro, poiché nello stesso punto si determina l'incrocio dei due assi aurei, testé descritti.
Naturalmente la diagonale che unisce i due vertici del rettangolo dell'icona, come rappresentato
graficamente, passa per il suddetto incrocio. Il “raggio dorato” argomentato si delineerà tramite la
suddetta diagonale ed una successiva che passa con precisione dal bordo rosso del libro, vedere per
credere!
Il libro può simboleggiare più cose cui Paola Tassinari è incline a curare, anzi a scrivere a modo suo,
davvero attrattivo. Ma è anche un ripasso di storia che transita suo tramite per intrattenere gli amici
ospiti del suo blog nell'intento di colmare lo spazio fra lei è la trascorsa Teodora Bizantina. Il segno che
sembra mettere in risalto questa origine è confermato proprio dalla diagonale inferiore del “raggio
dorato” che sostiene l'iniziale T di Teoderica e dunque di Teodora imperatrice.
Che significato dare a tutto ciò espresso con la geometria della Divina Proporzione?

Dell'argomentata “coda dell'occhio”, l'estremità inferiore
(passante per l'incrocio dei due assi aurei) se valutata con
l'antica misura egizia dell' “Occhio di Horo” (vedi accanto),
vale 1/32°, una estrema frazione che rappresenta
numericamente il “gusto”, il “germoglio del frumento” per
l'antico scriba egizio. Di qui, il passo è breve per dar corpo a
quell'origine aurica legata a Teodora imperatrice. Ma c'è di più
se si esamina l'altra estremità del “raggio dorato”, perché
vediamo che passa per il sopracciglio dell'occhio che vale 1/8°.
In questo caso è il pensiero, ossia la mente, ad essere coinvolti.
Ora tirando le somme con le tre cose emerse, visione, origine (ossia passato) e pensiero, viene da
pensare alla veggenza di cui potrebbe essere capace Paola Tassinari, in arte Teoderica.
Il “raggio dorato” mi fa venire in mente una sorte di iniziazione, non che si sia verificato in qualche
modo in lei, tuttavia può essere un fatto in potenza che potrebbe verificarsi ma non si sa nemmeno
come, quando e in che misura.
Brescia, 15 novembre 2015

domenica 15 novembre 2015

LA VIOLA E' UN FIORE CHE PARLA

Cosimo Piovasco di Rondò era il figlio del Barone di Rondò,  signore di Ombrosa, un piccolo paese in Liguria. Un giorno, a 12 anni, era tavola coi genitori nella sala da pranzo, con lo zio paterno, con l'educatore dei ragazzi e suo fratello, Biagio, di quattro anni più giovane. Rifiutò un piatto di lumache e venne cacciato da tavola. Salì su di un elce e disse al padre che non sarebbe più sceso: e così fece. Si organizzò in modo da non dover mai toccare terra.
Ebbe molte avventure sugli alberi, andò a caccia, a pesca e conobbe Viola, una bambina figlia dei  vicini/ nemici dei Piovasco di Rondò e se ne innamorò.   Viola fu spedita in collegio e tornò solo molto più tardi.  Cosimo pur vivendo sugli alberi non tagliò i legami con la famiglia e con il resto del mondo. Viola ritornò, era vedova, e tra Cosimo e Viola scoppiò l'amore, un amore che portò alla fuga di lei e all'impazzimento di Cosimo.  Cosimo, ormai vecchio e debole di salute, improvvisamente sparì, appeso all'ancora di una mongolfiera, che all'atterraggio non lo portava più con sé, e i suoi occupanti dissero di non essersi accorti di nulla.

Avrete riconosciuto il capolavoro di Italo Calvino: " Il barone rampante",  è stato il libro di lettura di generazioni di studenti delle medie inferiori, io lo avevo in seconda media e non mi piaceva, troppo di me c'era in Cosimo, nella ricerca d'equilibrio nei fatti della vita, nel volere vivere i propri desideri non ferendo nessuno, non lasciando nessuno, e poi gli amori che finiscono non mi piacciono.
Ho scelto di parlarvi delle viole con la Viola di Cosimo perchè , quando in febbraio andavo alla villa settecentesca a raccogliere le viole, a volte c'era ancora la neve, pensavo che il barone rampante poteva innamorarsi solo di una viola, questo fiore ha un  profumo e una  bellezza triste e malinconica, è immateriale. 
In Francia  le viole sono famose per essere state il simbolo della casata dei Bonaparte. Prima di essere esiliato all’Elba, Napoleone promise di ritornare “quando le violette fossero state nuovamente in fiore”, e dopo la sua morte, nel suo medaglione furono trovate delle violette raccolte dalla tomba di Giuseppina, la sola donna che forse avesse davvero amato, anche se la famosa "violetta di Parma" porta il nome della seconda moglie di Napoleone: Maria Luisa d'Asburgo.
La leggenda dice che Zeus creò la viola per nutrire la sua amante Io, trasformata in giovenca.
Un altro mito narra di Attis che non potendosi sposare con la sua amata Atta si evirò e morì, dal suo sangue crebbero le viole,  Atta disperata si uccise pure lei e dal suo sangue  crebbero altre viole. 
Il 22 marzo nella  Roma imperiale, si celebrava il culto di Attis, si trasportava in processione un pino adorno di  viole. 
La viola quindi significa anche sacrificio ma anche veggenza, si narra che i Cavalieri della tavola rotonda consultassero le viole per conoscere il loro destino.
La viola rappresenta il pensiero per l'amato, la fedeltà e l'eleganza, la modestia e il pudore, l'onestà e lo sdegno.
La viola è stata uno dei  fiori più apprezzati da tutti i popoli e in tutti i tempi, sia per l'aspetto estetico e per la delicata profumazione.
Gli antichi romani e le popolazioni arabe erano solite aggiungere alle bevande fiori di viola oppure estratti della stessa, al fine di rendere più delicata e gradevole la consumazione.
Molti poeti hanno celebrato e inserito nelle proprie opere la viola, come uno dei fiori più belli e delicati; altrettanto ricorrente è la rappresentazione del fiore in dipinti e decorazioni. 

Famoso è infine l'utilizzo del fiore per ottenere profumi ed essenze.
Le violette di zucchero sulle torte nuziali mi attraggono per il significato di amore vivissimo ma destinato a finire, anche se non ci sarà un divorzio l'amore finisce sempre, perchè non si vive in eterno.
 


 CANZONE DELL'AMORE PERDUTO
 

Ricordi sbocciavan le viole
con le nostre parole
"Non ci lasceremo mai, mai e poi mai",
vorrei dirti ora le stesse cose
ma come fan presto, amore, ad appassire le rose
così per noi
l'amore che strappa i capelli è perduto ormai,
non resta che qualche svogliata carezza
e un po' di tenerezza.
E quando ti troverai in mano
quei fiori appassiti al sole
di un aprile ormai lontano,
li rimpiangerai
ma sarà la prima che incontri per strada
che tu coprirai d'oro per un bacio mai dato,
per un amore nuovo.
E sarà la prima che incontri per strada
che tu coprirai d'oro per un bacio mai dato,
per un amore nuovo.
(Fabrizio De Andrè)


immagine di Teoderica

martedì 10 novembre 2015

IL NARCISO E' UN FIORE CHE PARLA

Ho amato e sempre amerò i narcisi, le nuvole gialle che appaiono come  un piccolo sole che illumina le fredde giornate ancora invernali, questi fiori campestri che sbocciano lungo i fossi mi struggono, sono l'essenza di quello che  potrebbe essere e non è e che mai sarà, sono fiori fuggitivi, dell'attimo che passa e di cui ti accorgi solo quando è passato, sono la vita così bella e così mortale, un narciso  ti ricorda la spada di Damocle, pronta a trafiggerti.
A marzo, il mese pazzerello li raccolgo e li metto nei vasi assieme alle viole, da sempre anche quando non sapevo che il viola è il complementare del giallo, il viola è formato dal blu e dal rosso non ha il giallo un po' come se il viola fosse la morte a cui manca il giallo, il colore della vita.
Amo i narcisi e sono narcisista, contenta di esserlo, chi non ama se stesso  non ama neanche gli altri.
Certo gli psicologi la intendono addirittura  come malattia, dicono che il narcisista non riesce ad aprirsi
all’altro perchè significa mettere in discussione il proprio modo di essere, correre il rischio di sentirsi fragile, essere alla mercé dell’altro, dipendere dall’altro, e non ultimo, senza alcuna garanzia  di non essere traditi o delusi. La paura della sofferenza per l’eventuale fallimento genera la decisione di chiudersi nel proprio mondo, lasciando fuori tutti, indiscriminatamente.
Come narcisista vi dico che il mio mondo è speciale, ma anche il vostro lo è, e come un giardino segreto va coltivato di persona, e solo chi ne ha la chiave può affacciarsi sulla soglia .
Nella mitologia Narciso era un bellissimo giovane figlio del dio fluviale Cefiso e della ninfa Liriope. Alla sua nascita la madre interrogò  Tiresia il quale disse che il figlio sarebbe sopravvissuto se non avesse conosciuto mai se stesso. Insensibile all' amore respinse molte fanciulle e ninfe fra cui anche Eco che per questo morì. Nemesi lo punì facendolo innamorare della propria immagine e lui la contemplò fino a morire. Altri dicono che mori nel tentativo di baciarla e cadde nella acqua morendo annegato. Dove morì  Narciso spuntò il fiore che porta il suo nome. Secondo altri lui stesso fu trasformato in quel fiore.
Come vedete Narciso decise di conoscere se stesso ed è quello che piace a me, lo concepisco come  senso della vita.
Il narciso è un fiore bellissimo e profumatissimo,  esistono moltissime specie  che si distinguono dal loro tipo di fiore e dal colore, sono tutti di estrema bellezza, eleganza e fascinosi , anche se i gialli sono spettacolosi.
Il significato di questo fiore,  è autostima, vanità ed incapacità d'amare, addirittura pura superstizione, regalare un fiore singolo di narciso prediceva sventure.
Gli antichi Romani credevano che i narcisi crescessero nelle profondità dei Campi Elisi e quindi li piantavano sulle tombe.
Un fiore mai visto, un narciso, stava per essere raccolto dalla figlia della dea Demetra, Persefone (o Kore), quando emerse il dio Ade dalla voragine apertasi dal mondo degli Inferi per rapirla, caricandola a forza su un carro dorato, trainato da due cavalli immortali, e condurla nel suo regno sottoterra per sposarla.
Questa è la credenza per l'occidente, che con la filosofia greca ha inventato la morte e il nulla, diverse sono le cose in oriente.
Il fiore di narciso arrivò in Cina intorno all’anno 1000 sotto la dinastia Song grazie, ai commercianti europei che lo utilizzavano come bulbo scambiato con merce, da quando la pianta di narciso fu introdotta in Cina divenne immediatamente simbolo di rinascita. 
Nella cultura orientale i narcisi sono meglio conosciuti come i messaggeri della primavera perché per primi appaiono dopo il freddo inverno. 
In Cina il fiore di narciso è un regalo particolarmente gradito e molto usato soprattutto durante il capodanno per augurare buona fortuna e prosperità, nell’arte raffigurativa tradizionale rappresenta il soggetto più raffigurato, esso infatti, oltre ad essere simbolo di buon auspicio, si crede che induca ogni uomo a far emergere il proprio talento, per questo motivo, è un fiore di buon augurio per tutti coloro che desiderano realizzarsi nel lavoro ottenendo il giusto riconoscimento. 
  

NARCISO

Narciso.
Il tuo odore.
E il fondo del fiume.

Voglio restare sulle tue sponde.
Fiore dell'amore.
Narciso.

Nei tuoi bianchi occhi passano
Onde e pesci addormentati.
Passeri e farfalle
si nipponizzano nei miei.

Tu minuto e io grande.
Fiore dell'amore.
Narciso.

Le rane che svelte sono!
Ma non lasciano tranquillo
lo specchio in cui si guardano
il tuo delirio e il mio delirio.

Narciso.
Dolore mio.
E mio proprio dolore.

Federico Garcia Lorca (Poesie d'amore) 
P.S. Non pubblico la famosa ode inglese sui narcisi, ma questa è altrettanto bella, perchè l'ho già fatto in un altro post ,  se non la conoscete sappiate che si intitola "Narcisi" ed è  del poeta preromantico inglese William Wordsworth.
immagine di Teoderica 

giovedì 5 novembre 2015

IL GIAGGIOLO E' UN FIORE CHE PARLA

La casa di campagna dove sono nata, sorgeva accanto alla villa  padronale, i proprietari vivevano a Bologna e venivano alla villa solo qualche giorno d'estate e qualche fine settimana, io potevo così sgaiattolare tramite un buco  nella rete di recinzione ed entrare nel giardino, qualche volta  anche dentro la villa, quando le contadine venivano a pulirla.
Il giardino era per me un luogo fatato, ogni giorno c'era una scoperta nuova, in particolare amavo una folta aiuola rotonda che in maggio diventava viola, con degli strani fiori i cui velati petali macchiavano le mani d'inchiostro e le foglie erano come spade, quando la mamma mi disse che si chiamavano, "scoregge del diavolo" io pensai che scoregge non andava bene perchè erano troppo belli ma un po' di diavolo ce l'avevano senz'altro.
Li osservavo da lontano con timore, attratta ma un poco spaventata, il loro portamento e il viola austero evidenziato dalle acuminate foglie verde ghiaccio me li faveva sembrare come i signori della villa, benevoli ma di un altro pianeta,  per me erano più adatti  gli umili fiori di campo, nonostante ciò ero sempre davanti alla loro aiuola.
Le scoregge del diavolo sono i giaggioli di san Giuseppe e sono simbolo di sapienza, fanno parte del genere iris
La denominazione  iris  deriva dal termine greco che significa  arcobaleno ; nella mitologia greca, era personificato dalla dea Iris, messaggera velocissima degli ordini celesti, soprattutto di Era.
Figlia del dio marino Taumante e della ninfa oceanina Elettra, sorella delle tre mostruose Arpie donne-uccello, Iris era raffigurata come una bella e radiosa giovane donna. Questa dea greca accompagnava le anime delle donne defunte ai Campi Elisi, motivo per cui gli iris viola venivano posti dai greci sulle tombe dei loro famigliari.
L'iris simboleggia la fede e la speranza ma anche il desiderio di trasmettere un messaggio dove si danno buone o cattive notizie, per fare gli auguri in generale e in particolare a chi sta per iniziare qualcosa d'importante. Nonostante la sua bellezza e il suo aspetto abbastanza riconoscibile, l'iris è stato spesso confuso con  il giglio.   
La storia narra che Luigi VII, combatté una battaglia, in cui ne uscì vittorioso, su di un campo completamente ricoperto da questo fiore, così da farne il suo emblema. Da quel momento in poi il popolo lo soprannominò fleure de Louis ossia Fiore di Luigi, ma a causa della pronuncia contratta diventò ben presto fleur de lys, ovvero Fiore di Giglio.  
Allo stesso modo anche in Italia si trasmise storicamente questo errore e il giglio di  Firenze altro non è che un iris, in Toscana l'iris è coltivato per i rizomi   molto utili per i profumi.
Ci sono fiori che parlano, che ti accompagnano dall'infanzia sino alla morte, ognuno ha i suoi, legati ai primi ricordi quelli che imprimono per primi sulla carta copiativa che è il nostro cervello, io amo la  carta copiativa e resto imbambolata ogni volta che mi macchio le mani  di blu.

“…Un segreto d’infanzia si conserva a lungo; qualcuno ne porta dietro un residuo, un’eco fino a che non si hanno i capelli bianchi..”(  "Iris" di Herman Hesse)

immagine di Teoderica