martedì 31 dicembre 2013

LA STELLA DI NATALE E' UN FIORE CHE PARLA



 Qualche settimana prima di Natale, mentre già penso al pranzo della ricorrenza, mi aggiro col carrello fra le corsie del supermercato, non posso non stupirmi del rosso acceso delle stelle di Natale, per me importanti  e irrinunciabili per festeggiare  il periodo natalizio.
Questa pianta  che invade le corsie dei grandi magazzini, anche se ormai venduta  a pochi euro, rimane bella  da morire, emblema che smentisce la credenza ormai intrinseca in noi...che una cosa più costa più vale.  
 La stella di Natale è una pianta tropicale ed ha poco da spartire col gelo dell'inverno, ama  il caldo e  lo testimonia con l'opulenza rosseggiante delle sue foglie che evocano scenari roventi e lussureggianti...forse anche per questo la amo, mi ricorda l'estate che non c'è...ma arriverà.
In inverno dell'estate si ricorda solo il caldo accarezzevole, le giornate lunghe  e i  leggeri vestiti da indossare, la canicola è dimenticata.
La  stella di Natale, il cui nome botanico è poinsiettia, era coltivata dagli Indios e dagli Aztechi, che la conoscevano col nome di "Cuetlaxòchitl" e la consideravano simbolo di purezza, i primi europei che la videro furono gli spagnoli di  Cortés.
Gli Aztechi credevano ad una leggenda secondo la quale alcune gocce di sangue di una dea, morta per amore, si riversarono sulle  foglie della  poinsettia, regalandole il magnifico colore che anche noi ancora apprezziamo.
Le sue foglie rosso fuoco significano l'amore verso il prossimo ed anche  fede illimitata.
Le radici di questa simbologia risalgono ad una leggenda messicana, che narra che in una notte di Natale una bambina di nome Lola era in chiesa ed ammirava i doni che le persone più ricche portavano all'altare.
Lola soffriva di non poter fare altrettanto e piangendo chiese a Gesù cosa potesse fare per dimostrargli il suo amore.
D'improvviso una voce, che proveniva da una grande luce, le suggerì di uscire, di raccogliere un fascio di sterpi e di erbe qualsiasi e di portarlo in chiesa deponendolo sull'altare.
La bimba corse a raccogliere gli  stecchi e, portatili in chiesa, li vide trasformarsi in rami che sulle sommità portavano delle meravigliose  stelle rosse, il dono più bello per Gesù era il suo.
Questa pianta divenne popolarissima anche in Italia dalla notte di un Natale di circa due secoli fa, quando venne usata per adornare la Basilica di San Pietro;  in America ha un giorno ad essa dedicato: il 12 di dicembre, in Francia, dove è nota come la stella d'Amore, viene  regalata anche per la  festa della Mamma. 

 Auguro a tutti voi un Anno Nuovo rosso fuoco come l'amore 

 immagine di Teoderica

 



sabato 28 dicembre 2013

LA NOSTRA ANIMA NON E' FORSE IL RAGNO CHE TESSE IL NOSTRO CORPO? (di GAETANO BARBELLA)



Cara Paola, oggi  è un altro giorno!
Ti ho fatto alcune raccomandazioni per la stesura del tuo
libro che si presentava caotico, e per questo io l'avevo
paragonata ad una minestra, ti ricordi?
Ora, per il fatto di aver numerate le pagine, che risultano
189, e come aver disposto le cose attraverso una mia certa
geometria a te oscura, ma ti piace tanto da innamorartene,
perche, come tu dici fieramente, sono il tuo maestro, e sia.
Ma oggi ho visto, con gli occhi di un certo profeta, il tuo
lavoro, che puo essere paragonato alla tela di Penelope che
cuciva e scuciva, quasi a farcela vedere come una trama
confusa e rabberciata.
Ecco, la tua tela, attraverso lo scritto in questione, rivela la
tua personale situazione interiore che e appesa
continuamente ad un esile filo, cosi sottile che rischia di
spezzarsi continuamente. Ma ogni filo di una ragnatela,
perché alchemicamente Penelope è assimilata al ragno, è
molto resistente per lo scopo cui deve attendere, che è
imprigionare saldamente un insetto per poi nutrirsene.
In ermetismo non ci si deve impressionare del lato macabro,
in questo caso il ragno che divora l'incauto insetto, e dunque
va inteso come una certa vernice da ignorare. Infatti, il caso
di Penelope, presa questa cautela, si riflette nella circostanza
in cui incappa al suo cospetto uno strano mendico, che
l'autore dell'Odissea, Omero, vorrebbe far credere che era il
suo sposo Ulisse rientrato ad Itaca, sotto mentite spoglie,
ossia da vecchio. In realta quel mendico non costituiva altro
che un incoraggiante segno per Penelope che non faceva che
stare arrampicata al ricordo del marito partito 10 anni prima.
Cosi  è la tua situazione, magnificamente allegorizzata dalla confusa trama del tuo scritto che inizia
dalla parola sesso.
Sei alla ricerca di te stessa, come senza marito e con un figlio lontano che tanto si accosta al
Telemaco di Penelope. Il resto della storia di Penelope potrebbe costituire l'esito della tua ora, molto
incerta, ma gia il vecchio mendico in me arriva e ti numera le tue pagine, come a fissarle in
modo da lasciare intravedere gli eventi attraverso i nodi dell'intreccio geometrico della trama. Di
qui non manca altro che il tuo bambino interiore che di certo apparira annunciato da una stella cui
aneli intravedere in te, in questa tua culla, e che il tuo libro, in procinto di poter essere pubblicato,
rivela allegoricamente.
Ecco, questo libro, forse avrà bisogno di altre righe per parlare di quel che ti ho detto fin qui. Mi
piace per la sua innocente originalità (simile al raccontare confuso di un'adolescente) perche non
c'era miglior modo per descrivere minuziosamente un personale labirinto che troviamo in ogni
dove delle cattedrali, espresso come quello noto di Salomone. Giusto lo stesso della basilica di S.
Vitale ravennate a te molto cara, della foto allegata.
A questo punto si fa chiarezza anche sul titolo da dare al libro, se visto in questa chiave salomonica.
E quel Fulcanelli del libro Il Mistero delle Cattedrali, Ediz. Mediterranee cosa dice?
Alle pagg. 52 e 53 si dispone a parlare di Arianna, giusto in relazione al ragno e percio a Penelope.
Chissa che il suo filo sia da accostarsi al mio intervento che di fili, ovvero di linee, me ne
intendomolto.
Il labirinto delle cattedrali, o labirinto di Salomone, e, ci dice Marcellin Berthelot1, una figura
1 Vedi: La Grande Encyclopedie. Voce: Labyrinthe. T. XXI, pag 703.
Illustrazione 1: Labirinto di S. Vitale
a Ravenna.
cabalistica che si trova anche sul frontespizio di alcuni manoscritti alchimici e che fa parte delle
tradizioni magiche attribuite a Salomone. E una serie di cerchi concentrici, interrotti in certi punti,
in modo da formare un percorso bizzarro ed inestricabile.
L'immagine del labirinto ci si offre dunque come emblema dell'intero lavoro dell'Opera, con le
sue due maggiori difficolta: quella della strada da seguire per raggiungere il centro, nel quale si
scatena il duro duello delle due nature, e l'altra quella della strada che l'artista deve seguire per
uscirne. A questo punto ha bisogno del filo d'Arianna se non vuole vagare tra i meandri dell'opera
senza riuscire a scoprire l'uscita. Non è nostra intenzione scrivere, come fece Batsdorff, uno
speciale trattato per insegnare che cos'è il filo d'Arianna, che permise a Teseo di compiere la sua
impresa. Ma appoggiandoci alla cabala speriamo di fornire agli investigatori sagaci alcune
precisazioni sul valore simbolico del famoso mito.
Arianna e una forma di airagne (ragno), per metatesi della i. In spagnolo, la ñ si pronuncia gn;
άράχνη (araignee, airagne2) si puo dunque leggere arahné, arahni, arahgne. La nostra anima non  è
forse il ragno che tesse il nostro corpo? Ma questa parola richiede ancora altre derivazioni. Il verbo
αίρην significa prendere, cogliere, trascinare, attirare; da esso deriva αίρην, cio che prende, attira,
coglie. Quindi αίρην e la calamita, la virtu rinchiusa in quel corpo chiamato dai saggi: nostra
magnesia. Proseguiamo. Nel dialetto provenzale, il ferro e chiamato aran e iran secondo le varie
inflessioni. E lHiram massonico, il divino Ariete, l'architetto del Tempio di Salomone. I felibri
chiamano il ragno aragno e iragno e anche airagno; i piccardi aregni. Accostate tutte queste parole
al greco Σίδηρος, ferro e calamita. Questa parola ha ambidue i significati. E non e tutto. Il verbo
άρύω significa l'alzarsi di un astro che esce dal mare: da esso deriva αρυαν (aryan), l'astro che
esce dal mare, che sorge; αρυαν o ariane e quindi l'Oriente, per la permutazione delle vocali.
Inoltre, άρύω ha anche il significato di attirare; quindi αρυαν e anche: calamita. Se ora
esaminiamo Σίδηρος, da cui deriva il latino sidus sideris, stella, riconosceremo il nostro aran, iran,
airan provenzale, il greco αρυαν , il sole sorgente.
Arianna, ragno mistico, fuggita da Amiens, ha lasciato sul pavimento del coro soltanto la traccia
della sua tela...
Ricordiamo rapidamente che il piu celebre dei labirinti antichi, quello di Cnosso a Creta, che fu
scoperto nel 1902 dal dottor Evans, di Oxford, era chiamato Absolum. A questo punto, faremo
notare che questa parola e assai vicina a quella di Absolu3, nome con il quale gli antichi alchimisti
indicavano la pietra filosofale.
Buon Natale, chissa io sono la stella dei tuoi re magi alle ricerca di Gesu bambino! Giusto perche
sono lontano come in cielo...
Gaetano
2 Anche nella parola italiana ragno e evidente la derivazione dal greco. Qui abbiamo mantenuto tali e quali i termini
di passaggio dal greco ai vari dialetti francesi, altrimenti intraducibili (N.d.T.).
3 Assoluto

mercoledì 25 dicembre 2013

BUON NATALE CON BUONUMORE

                       
                      BUON NATALE CON BUONUMORE

Per Natale, Giorgio regala  alla moglie, un ferro da stiro.  La moglie dopo averlo usato lo appoggia vicino al telefono. Il giorno dopo, Giorgio ha le orecchie piene di vesciche, esce e  incontra un amico.
 L'amico, gli chiede: Giorgio, ma che ti è successo alle orecchie?" 
"Mia moglie,ieri, ha lasciato il ferro da stiro acceso vicino al telefono; telefona un tizio e io, per sbaglio, prendo il ferro da stiro e me lo metto accanto all'orecchio. Che male! Che dolore tremendo! Da morire!"  "Va bene, ma per l'altro orecchio?" chiede l'amico a Giorgio.
 "Quello scemo ha ritelefonato". Risponde Giorgio.


immagine di Teoderica









 

domenica 22 dicembre 2013

LA BELLEZZA DI MICHELE

3 PARTE

Ed ecco San Giorgio qui raffigurato da Vittore Carpaccio ( Venezia 1465/1525).
Carpaccio fu uno dei grandi maestri teleri della ricca scuola veneziana e se all' inizio presenta una mano un po' incerta nel disegno diviene poi il "raccontatore"veneziano. Con sicurezza in ampie panoramiche, con scorci profondi e squadri in prospettiva egli racconta i suoi protagonisti, privi di forti significati sentimentali anche nelle scene più drammatiche, sono come sospesi in un ritmo è lento e magico, come sul palcoscenico di un immaginario teatro. Luce e colore legano gli elementi più disparati, dal più lontano al più vicino in primo piano, permettendo al pittore di soffermarsi sui curatissimi dettagli, che indagano particolari delle architetture, dei costumi, del cerimoniale ufficiale, ma anche della vita quotidiana.San Giorgio che come vi ho detto è il gemello terreno dell' Arcangelo Michele,vi è un Ordine esistente anche oggi: Ordine di San Michele e San Giorgio , e possiamo dividerli ed unirli come protettori dei re, l' uno dell' Inghilterra e l' altro della Francia.Di Michele ho già parlato di Giorgio posso dirvi che salva la principessa dal drago, è un po' antesignano del principe azzurro.Carpaccio lo raffigura in una landa desertica con teschi e scheletri, a cavallo del suo destriero e lancia in resta, il drago dalle forme classiche di drago e la principessa spaventata in un angolo.Questo telero si trova nella Scuola di San Giorgio degli Schiavoni la sala contiene altri otto quadri di Carpaccio ( di circa 10 metri per dieci). Si tratta di una scuola creata in base ai principi dei Cavalieri templari.

giovedì 19 dicembre 2013

LA BELLEZZA DI MICHELE

2 parte

Questa raffigurazione di S Michele fa parte del polittico di Santa Giustina a Monselice, è stato attribuito negli anni  '90 a Francesco de Franceschi (notizie 1443-1468) e in anni più recenti ad Antonio di Pietro da Verona, nipote di Altichiero, documentato a Padova tra il 1405 e il 1434.
Il culto di Michele è molto diffuso a livello popolare: moltissime sono le località in Europa che hanno scelto Michele come loro patrono, innumerevoli sono le rappresentazioni artistiche, le chiese (spesso l´Arcangelo viene rappresentato sulle guglie dei campanili, quale guardiano delle Chiese contro il male) dedicate a Lui e le preghiere ufficiali e popolari che lo invocano.
"L'imperatore Costantino I a partire dal 313 d.C. gli tributò un culto intenso, fino a dedicargli il Micheleion, un imponente santuario fatto costruire in Costantinopoli. Carlomagno gli dedicò il Sacro Romano Impero, imitato poi dai sovrani francesi che, fino a Luigi XIII, gli dedicarono il loro regno. Singolare e misteriosa la linea retta con la quale sono collegabili tra loro i principali luoghi di culto dedicati a Michele, tutti eretti sui resti di antichi templi pagani, in luoghi dove in qualche modo si è manifestata la sua presenza. Tale linea, tracciata partendo dal Monte Carmelo (Palestina) per finire sul Monte di San Michele (Inghilterra sud orientale), passa su Delos, Delphi, Monte Sant'Angelo (Gargano), Sacra di San Michele (Valsusa) e Mont Saint Michel (Francia nord orientale), imponendosi all'attenzione degli studiosi di esoterismo. Michele viene raffigurato in due ruoli: come il combattente che vince il male o come psicopompo, raffigurato con la bilancia in mano è al nostro fianco come pesatore di anime.Egli è anche custode della porta del Paradiso terrestre.
La raffigurazione di Michele a Monselice, risente ancora di qualche tratto gotico, la linea non è fluida,ma l' immagine è ben intrigante, in quanto benchè Michele abbia i suoi attributi: la bilancia e la spada, sembra un cavaliere templare ha infatti la catatterisica croce e l'abito bianco.
Michele ha come suo gemello terreno un santo che è il santo protettore dei cavalieri templari: San Giorgio. Anche Giorgio combatte il male (raffigurato come un drago) nel nome di Dio.
Un'atra particolarità di Michele è che le chiese a lui dedicate sorgono sovente accanto a chiese dedicate alla  Madonna Nera.


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I Frutti dell'Albero della Vita - La tradizione Kabbalistica




lunedì 16 dicembre 2013

LA BELLEZZA DI MICHELE

1 parte

In questa immagine è rappresentato S Michele Arcangelo (1635 chiesa dei Cappuccini, Roma) di Guido Reni.
Guido Reni nacque nel 1575 a Bologna e qui morì nel 1642, egli fa parte del classicismo del "600, allievo dei Carracci si discosta dal loro naturalismo giungendo ad una nuova sintesi che accoglie la grazia di Raffaello, il colorismo dei Carracci e la linea longilinea del Parmigianino.
Reni, inizialmente studiò musica e la gentilezza e la musicalità è presente nelle sue opere. La critica è stata con lui altalenante, disprezzato da Ruskin e dai Romantici considerato a volte lezioso a volte geniale è un grande artista malinconico, che si esprime con grande eleganza sia nelle tele religiose che in quelle mitologiche.
In Romagna si conserva a Forlì la tela dell'Immacolata Concezione e a Ravenna vi sono affreschi con Gesù Redentore ed Arcangeli.
Reni raffigura Michele nello splendore della sua bellezza, infatti corrisponde all'Arcangelo reggitore della sefiradella "Bellezza" ovvero Tipheret che è la sefira centrale dell'albero della Vita nella Kabbala , (il cui nome vuole dire Mi-Kha-El:"chi è come Dio?"), fin dai tempi antichissimi,Michele ha un ruolo e un affetto particolare, considerandolo sempre presente nella lotta che si combatte e si combatterà a livello individuale e collettivo, fino alla fine dei tempi, contro le forze del male.Michele sta con gli angeli che stanno dalla parte di Dio, combatte e vince Lucifero e gli angeli ribelli, è quindi la ragione che tiene a bada gli istinti primordiali. Reni rappresenta Michele avvolto in un aereo mantello rosso,qui simbolo di vitalità e forza, in quanto è un rosso chiaro e vivo.
Michele rappresenta il nostro respiro, l' anelito alla bellezza ( intesa come giusto, vero e bello) per far sì che Michele vinca dobbiamo combattere armati(molto spesso il buono ha il male in sè) è per questo che Michele è rappresentato qui come una Madonna che schiaccia il serpente, ne ha la stessa grazia e la catena con cui dovrebbe incatenare Satana, Michele la tiene saldamente in mano, quasi come una corona di rosario.
Un singolare aneddoto esiste su questa tela: siamo nella prima metà del 1600 e il cardinale Antonio Barberini commissionò il quadro a Guido Reni. Il celebre pittore si dedicò con entusiasmo all'opera, manifestando comunque al cardinale le difficoltà tecniche di imprimere nel volto dell'arcangelo quella bellezza eterea e sovrumana che (parole sue) "al cielo nè in terra potrò mai trovare".
Era noto in quegli anni che un altro cardinale, Giovanni Battista Pamphili, qualche tempo prima, ebbe modo di parlare in modo sprezzante di Guido Reni, e l'artista, molto risentito, evidentemente maturò con il quadro dell'arcangelo il modo di vendicarsi dell'affronto subìto.
Quando infatti la tela fu terminata, i contemporanei si meravigliarono assai, non solo perchè l'autore era riuscito ad imprimere la divina bellezza dell'arcangelo, ma sopratutto perchè era riuscito, altrettanto bene, a rappresentare la bruttezza nel viso del diavolo. Ma il diavolo...a guardarlo bene....aveva un viso conosciuto... e sì, era proprio la faccia del cardinale Pamphili! Il cardinal Pamphili, divenne papa Innocenzo X.

di San Barbaziano.

venerdì 13 dicembre 2013

ACQUACHETA

4 Puntata






Sazia, per lo più di bellezza, stesa ai raggi del sole, fumando una sigaretta, non mi sarei più mossa, ma Marco, come tutti i bambini di otto anni, che non stanno mai fermi, era già in piedi, voleva salire l’inerpicato sentiero per capre che porta a Pian dei Romiti che è la vetta della cascata. Il paese si chiama S. Benedetto in Alpe e il pianoro sulla cascata Pian dei Romiti perché era un tempo il luogo dell’Abbazia di S. Benedetto, ora sono rimasti solo dei ruderi.
"Dai mamma, non fumare che ti fa male, dai alzati, allora vado da solo".
Uffa, mi alzo, mi avvio al sentiero per capre, Marco più avanti, io e mio marito un po’ distaccati.
“Sono tutti nudi". Ride Marco tornando indietro.
“Cosa hai detto?” Avevo capito, ma tutti nudi chi, non c’era anima viva intorno.
“Sì, ci sono tante persone e sono tutte nude".Insiste Marco sempre ridendo, non capisco se mi prende in giro o se dice la verità.
Nel mentre arriviamo sul pianoro tutti e tre.
Nella bella piana, verde ed assolata vi era una comunità di hippies , chi in piedi, chi seduto, chi fumava canne, chi sorrideva, chi prendeva il sole, uomini e donne, erano tutti nudi.
Quatti, quatti, col passo felpato in stile pantera rosa, indifferenti e ridenti, passammo fra i corpi nudi, io guardando l’orizzonte, sentendomi io nuda e loro vestiti.
Luigi e Marco, per scendere non vollero passare dal sentiero per capre, ma scesero dal salto della cascata, fra i gradoni scoscesi e scivolosi.
“Fermatevi, è pericoloso".
Ma loro niente, non mi danno retta, ed io rimasta sola fra gli hippies nudi, sono costretta a scendere fra i dirupi scivolosi.
Per fortuna andò tutto bene, a me non piace sfidare il pericolo, sono molto paurosa, ma devo ammettere che scendere in mezzo alla cascata mi è piaciuto a loro però non l’ho detto, anzi li ho sgridati per la loro spericolatezza.
Abbiamo raccolto le nostre cose, i nostri rifiuti e siamo scesi. Il percorso di ritorno essendo in prevalenza in discesa è molto più veloce ed in circa un’ora si è a s. Benedetto in Alpe.
Se passate in Romagna visitate la cascata dell’Acquacheta, non la dimenticherete, rimarrà nei vostri ricordi più belli.

2 Foto : cascatella con pozza smeraldina
2 Foto : cascata Acquacheta

martedì 10 dicembre 2013

ACQUACHETA

3 PUNTATA



















Il mattino dopo, alle nove eravamo già ai piedi del sentiero, attrezzati con zaino, cibarie ed acqua.
Immersi nella natura, tranquilli e sereni, fra cinguettii di uccelli, zone di sole accecante e luoghi ombrosi, trovammo all’ improvviso un ostacolo.
“ Muoviti, dai forza.”
“ Ho paura" .
“ Sei proprio sciocca, guarda io e Mirko ci passiamo in mezzo, non ti fanno niente.”
“ Io ci provo, ma non ce la faccio, quando ci sono vicina, mi sembrano enormi e spaventose.”rispondo io.
L’ ostacolo era un gruppo di mucche , che erano scese dal pascolo ed ostruivano il passaggio.
Oriano, e Mirko , mio figlio, tornano indietro per accompagnarmi nel tragitto fra le mucche, non accorgendosi di pestare un’ enorme cacca di mucca, se non lo sapete le mucche la fanno proprio grande, grande.
Erano così comiche le loro facce stupite, che un riso irrefrenabile mi prese, mi piegai letteralmente a metà dalla risata, mentre Oriano e Mirko stavano col piede alzato, tutto lordo.
Il riso toglie la paura, passai in mezzo alle mucche, tirando anche la coda ad una di loro.
Dopo averli aiutati a pulirsi, riprendemmo il cammino a passo sostenuto. Dopo un’ ora e mezza circa, arrivammo alla grande pozza d’ acqua verde smeraldo che si trova a poche centinaia di metri dalla cascata .Qui un bagno nell’ acqua fresca fu d’ obbligo, non si poteva non immergersi in quell’ acqua che sembrava cangiante.
Ristorati dall’ acqua ma affamati, ci portiamo ai piedi della cascata dell’ Acquacheta, che scende con un leggero velo d’ acqua, pare un lungo strascico di pizzo di un abito da sposa. Qui di fronte a tale spettacolo, mangiammo i nostri panini, altro che albergo a cinque stelle, qui era un eden.

Foto : tragitto per arrivare alle cascate

sabato 7 dicembre 2013

ACQUACHETA

2 PUNTATA



















Incontriamo un ragazzo con tanto di zaino e scarponi.
 "Quanto dista la cascata?"
 "Non siete neanche a metà strada" ci risponde.
Io e mio marito ci guardiamo negli occhi: avevamo dimenticato che i montanari hanno le gambe da stambecco e che se dicono mezz'ora di cammino, come minimo è un'ora di viaggio a passo veloce, così capimmo che noi in espadrille, senza zaino con i rifornimenti e senza acqua, saremmo dovuti tornare indietro senza vedere la cascata di Dante.
Il sommo poeta, che soggiornò presso San Benedetto in Alpe, vide sicuramente la cascata nell'Inferno, paragonò la rumorosa cascata del fiume infernale del Flegetonte che separa il settimo dall'ottavo cerchio alla splendida cascata dell'Acquacheta. Egli la immortalò con questi versi:

Come quel fiume c'ha proprio cammino
prima del Monte Viso 'nver levante,
da la sinistra costa d'Apennino,
che si chiama Acquacheta suso, avante
che si divalli giù nel basso letto,
e a Forlì di quel nome è vacante,
rimbomba là sovra San Benedetto
de l'Alpe per cadere ad una scesa
ove dovea per mille esser recetto;
così giù d'una ripa discoscesa,
trovammo risonar quell'acqua tinta,
si che 'n poc'ora avría l'orecchia offesa.
(Inferno, Canto XVI, 94/105)
 

"Dante e Dante, noi abbiamo fame, tu fai quello che vuoi, noi torniamo indietro"
mio marito si stava arrabbiando, naturalmente li segui, perchè avevo una fame da lupo anch' io.
Ci consolammo con un piatto di tagliatelle ai funghi porcini e numerosi crostini ai fegatini innaffiati con Sangiovese e rimandammo l'escursione al giorno dopo.


Foto: inizio della passeggiata che costeggia il fiume.
Foto : targa che rammenta il passo dell' Inferno in cui Dante nomina la cascata.

mercoledì 4 dicembre 2013

ACQUA CHETA

1 puntata


In vacanza ci si alza tardi, si poltrisce a letto, poi si vuole preparare una sontuosa colazione, cucinando magari una buona torta casalinga da offrire al marito ed al figlio, che per questioni di lavoro a volte si trascurano un po'. Non si vuole lasciare la cucina in disordine e così si parte un po’ tardi per fare l'escursione programmata: un percorso a piedi, per raggiungere la cascata dell’ Acquacheta
Il programma prevedeva la camminata fra i monti ed al ritorno il pranzo in uno dei pittoreschi ristoranti di S. Benedetto in Alpe, ameno paese sulle colline di Forlì.
“Quanto tempo occorre per arrivare alla cascata?". Chiedo ad una signora affacciata alla finestra di una casa prospiciente all’inizio del sentiero.
“Mezz’ ora circa". Mi risponde la donna.
“Avete visto, non siamo in ritardo, sono le undici, alle tredici saremo già a tavola". Mi rivolgo al marito e al figlio, che brontolavano per il mio ritardo.
Ci avviamo baldanzosi su un sentiero che costeggia il fiume, fra pascoli, mulini e numerose soste per mangiare le ciliegie, più esattamente le amarene asprigne, ed altre soste per rinfrescarci al fiume.
Dopo circa un’ora i miei uomini, cominciano a sbuffare: “Dov’è questa cascata, ho capito che oggi non si mangia,“ brontola mio marito.


Foto: S. Benedetto in Alpe