mercoledì 28 novembre 2012

CHI ERA COSTEI?


All'entrata del secondo cerchio Minosse accoglie i peccatori e, dopo averli costretti a confessare le loro colpe, indica loro la punizione divina avvolgendosi la coda intorno al corpo un numero di volte corrispondente al numero del girone infernale al quale li invia. Siamo al V canto, al girone dei lussuriosi è il canto di Paolo e Francesca, dell'adulterio e della morte violenta dei due che commuovono Dante al punto di fargli perdere i sensi. La prima anima che Dante incontra è la regina Semiramide, chi era costei?

«La prima di color di cui novelle
tu vuo' saper», mi disse quelli allotta,
«fu imperadrice di molte favelle.
A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta.
Ell'è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che 'l Soldan corregge.
Dante la cita tramite fonti che la vogliono addirittura dedita all'incesto col figlio ed anzi promulgatrice di una legge affinchè l'incesto non fosse proibito, oltre accusarla dell'uccisione del marito per mano del suo amante. Altre fonti però la descrivono come una novella femminista, la quale dopo la morte del marito prese in mano le redini del Paese e con mano salda e ferma riuscì guidarlo fra i marosi della politica e della guerra
Spesso è raffigurata con la sua lunga chioma perchè si dice che mentre li stava sistemando arrivò la notizia dell'arrivo del nemico, Semiramide senza perdere tempo si avviò coi capelli sciolti alla battaglia.

Semiramide( 800 aC circa) molto probabilmente fu una donna di immenso valore e grande coraggio nelle imprese e nell'esercizio delle armi. Fu sposa del re Nino, che diede il nome alla città di Ninive . Egli conquistò la grande Babilonia, i vasti territori degli Assiri e molti altri paesi. Questa donna era ancora molto giovane quando Nino venne ucciso da una freccia, durante l'assalto a una città. Dopo aver celebrato solennemente il rito funebre la donna non abbandonò l'esercizio delle armi. Era così temuta come guerriera, che non solo mantenne i territori già conquistati ma, alla testa di una grande armata, mosse guerra all'Etiopia, contro cui combatté con ardimento, conquistandola e unendola al suo impero. Da lì partì per l'India e attaccò in forze gli Indiani, ai quali nessuno aveva mai osato dichiarare guerra, li vinse e li soggiogò. In seguito arrivò a conquistare tutto l'Oriente, sottomettendolo alle sue leggi.


immagine di Teoderica


domenica 25 novembre 2012

UNA LETTERA PER ME DA GAETANO BARBELLA

Cara Paola, è sempre un piacere per me predispormi per dialoghi che, se pur rispondono a domande che mi fai, tuttavia è inevitabile che restino aperti spiragli per eventuali interventi successivi in relazione a nuovi e imprevisti input reciproci. Oggi, con il tuo lavoro e quello di tutti coloro, di grande prestigio, che vi hai coinvolto, abbiamo avuto modo di vedere da vicino (vicino quanto? ma dovremmo appartenere anche all'infinito delle cose...) un mondo regolato dalle forze erotiche che fa capo al sesso.
E tu ti lanci a capofitto dicendo: «... anche se dissento su alcune cose, una su tutte la Giuditta I è sensuale castra l'uomo per libidine, mollezza e amoralità, Giuditta II è la femminista, la donna che castra l'uomo con le armi che ha a disposizione, è una Giuditta che vuole comandare... io le vedo così. ».
Ma la questione in proposito è ben più ingarbugliata di quanto tu, forse, possa credere.
Il prof. Vìnardi, che tu citi, definisce il Cerchio della Confusione delle Lingue: ognuno parla una lingua senza comprendere ed essere compreso dagli altri. Solo delle Lingue? Se fosse solo delle Lingue sarebbe niente, poiché con l'erotismo non si scherza senza dover incappare in una bestiale confusione, ed è proprio il campo di battaglia dell'iniziato che si fa “Caprone”, come lo era – per esempio – il famoso Don Giovanni. E qui entriamo negli oscuri meandri dell'esoterismo.
Ti cito in proposito il pensiero di un grande amatore, Gabriele D'annunzio, che lasciava intravedere in che modo si può entrare nelle stanze dell'eros e quale la chiave per aprire la porta che a lui premeva.
« Credo nell'esperienza di un fato - dice D'Annunzio - che ci genera e ci costringe a sporcare la faccia del mondo per vedere come ce la caveremo. Per difendermi ho imparato a maneggiare il fango. In fondo solo col fango una mano sapiente può costruire qualche cosa che resista al fuoco. Anche se i più lo maneggiano non per costruire, ma per insozzare e per distruggere ».
In Klimt è lo stesso, con la differenza che egli svolge il suo ruolo mondano esclusivamente attraverso l'arte pittorica, mentre il Vate è poliedrico, va oltre. Entrambi traducono il “fango” in oro: Klimt col manto posto sul corpo di Giuditta I, oltre a incorniciare sia questa che l'altra gemella con altrettanto oro (per non parlare della pioggia d'oro di Danae o Leda), e il Vate in un meraviglioso lirismo poetico.
E non c'è Giuditta I senza Giuditta II, perché sono due facce della stessa medaglia. Con Giuditta I del 1901 si genera l'estremo piacere erotico ma che non si traduce in vero oro perché Klimt, accettando i suoi rovesci, finalmente otto anni dopo, nel 1909, traduce con raffinatezza il piombo alchemico in oro, affrontando faccia a faccia il Caprone e lo coglie, attraverso il pathos. L’uomo viene così castrato e perde il suo potere: il momento scelto e raffigurato sulla tela è quello appena successivo al «capovolgimento dei ruoli». È l'iniziazione in cui Klimt è, appunto, castrato e perde il suo potere, ma in cambio egli si fa “Umanità”, ossia “donna” come lo era Eva primordiale. Ecco la nuova “Giuditta”, la III, che rappresenta una donna che ha finalmente da poco raggiunto la sua emancipazione, la sua libertà – anche sessuale –, e contemporaneamente è portatrice della testa dell’uomo decapitato, evirato, privato del suo potere: si tratta del figlio in lei.
Mi chiedi, infine, «... che differenza c'è fra esoterico e essoterico? Ma il romanzo ti è piaciuto o no? ». E qui occorre che ti riferisca sullo Yoga tantrico, visto che l'argomento trattato è la pratica erotica, giusto in riferimento della “Baldracca” del tuo libro.
La pratica sessuale tantrica non è finalizzata alla ricerca del piacere e questa è una delle cose più difficili da comprendere per gli occidentali:
Non si tratta di applicare lo yoga al sesso per godere di più, ma di "indirizzare coscientemente l'energia sessuale nei Chakra per attivarli".
Le pratiche sessuali tantriche (assai simili alle pratiche sessuali taoiste) si basano sull'inversione dei processi naturali, i «capovolgimenti dei ruoli» suddetti in relazione alle Giuditte di Klimt. La componente "attiva" diventa quella femminile: l'uomo, sia nelle pratiche di visualizzazione che nell'atto sessuale vero e proprio, si predispone ad accogliere nel proprio organismo l'energia femminile "fredda" e "ascendente" ed a trasformarla in energia maschile "calda" e "discendente" che a sua volta viene assorbita dall'organismo della donna e trasformata di nuovo in energia femminile. http://www.daoyin.altervista.org/tantra.htm
Ecco, ti ho appena fatto capire cosa comporta l'esoterismo in materia erotica sessuale. È facile ora distinguerla dalla comune analoga pratica essoterica rivolta alla esclusiva ricerca del piacere senza finalità, con l'illusione che sia il banco di prova dell'esercizio dell'amore.
In quanto alla confusione della Lingue del prof. Vìnardi, che con la pratica del sesso la confusione diventa bestiale, che può giovare essoterismo con i “piaceri”? Nel senso che io do al piacere, se io ti dico che mi è piaciuto il tuo libro, tu cosa penseresti? Conoscendomi capiresti che c'è ambiguità in questa risposta. Ma in cambio di ho detto tante cose di cui far tesoro per penetrare meglio la tematica del tuo libro suggerito, per certi versi, dalla tua interiorità. Grazie ad esse potrai sperimentare un rapporto tantrico tale che ad un tratto pioverà su di te l'oro di Giove come fu per Danae di Klimt.
Tuttavia ti ho detto all'inizio del mio commento: « Come nei libri gialli hai saputo far tenere il fiato sospeso sul volgere della fine della tua storia. ». Si tratta di un magnetismo che pervade il tuo libro e che lo rende simile ad un pianeta con la sua gravità. La vita è possibile, prima d'altro, solo a questa condizione. Perciò è tanto... (molti libri "ben conditi", non hanno questa forza attrattività)
Come ti avevo annunciato, ho potuto fare il saggio sulle due Giuditte che ti trasmetto in allegato pdf, ma che potrai leggere in htm a questo link:
Ecco un mio modo di farti piacere: se vuoi puoi anche pubblicare questo scritto.
Un bacio, Gaetano


giovedì 22 novembre 2012

SAGGIO DI GAETANO BARBELLA

ESPERO E LUCIFERO
Giuditta e Oloferne I e II di Gustav Klimt


Di Gaetano Barbella


"Lo bel pianeta che ad amar conforta,
Faceva tutto rider l'oriente,
Velando i Pesci ch'erano in sua scorta,"

(Venere: Dante, purgatorio I, 19-21)


Aby Warburg, la guida
Nessun critico d'arte penserebbe che Gustav Klimt abbia predisposto un telaio strutturale in anteprima per poi dipingere le due opere, Giuditta e Oloferne I e II, allo stesso modo dei pittori del Rinascimento. Tanto meno perciò concepire nel dettaglio il supposto telaio - mettiamo - all'insegna della sezione aurea e quant'altro di geometrico specifico.
Tuttavia, per una insospettata "coincidenza", davvero "significativa", la geometria delle sue due opere anzidette, da me concepita e tema di questo scritto, è forse tale da farla rientrare nel noto principio della "sincronicità" concepita da Alfred Gustav Jung, guarda altro caso, che vi si imparenta, giusto due Gustav allo specchio.
Ma è vero pure che il due si ripete, appunto con le due opere d'arte in questione, anche queste, che si guardano allo specchio come due poli in opposizione. Poli che si riscontrano nella critica d'arte di due diverse versioni del medesimo episodio biblico, distanziate dal 1901 al 1909 allorché furono concepite da Gustav Klimt.
Ma il due non limita a questo perché altri se ne prospettano fino a permettere di estrapolare due interessanti figure geometriche dalla seconda Giuditta, una delle quali, naturalmente riguarda la prima Giuditta.
Molto di base della critica d'arte, utile in relazione al mio lavoro geometrico, ho attinto dal testo di un pregevole scritto di Elisa Danesin, "Ricerche sulle Giuditta di Klimt. Uno sguardo warburghiano. " (1)È Aby Warburg, la guida cui si avvale l'autrice, che condivido, per sviluppare il suo lavoro sulle due Giuditte di Klimt.
Ne parla, appunto, nel primo brano del menzionato suo scritto, «1. Aby Warburg, la guida»: «La guida più importante, colui il quale ha tracciato il sentiero del nostro percorso è Aby Warburg, l'intellettuale della storia dell'arte che per primo "a saisi la capaciti des images à rompre la surface de la pensée rationnelle et à court-circuiter le temps linéaire"(2) , "ha colto la capacità dell'immagine di rompere la superficie del pensiero razionale e di cortocircuitare il tempo lineare": ha affondato le proprie radici filosofiche in Nietzsche per arrivare a cogliere l'importanza degli studi rivoluzionari di Freud. Una figura eccezionale che ha cercato e ottenuto un rapporto esclusivo con le immagini. Ha creato un legame intenso tra studioso e forme, dove l'opera d'arte è concepita come sintomo di una memoria collettiva, come manifestazione di qualcosa di sotterraneo e talvolta patologico, e dove l'immagine stessa si muove nella spirale del tempo inattuale, slegata da concetti come eredità, influenze, imitazioni. Dove storia e arte, infine, non sono la rigida gerarchizzazione di periodi, stili e correnti che si alternano, ma dove il tempo si rivela impuro e scandito da ritorni e fantasmi di presenze molto antiche.».

È nei punti più piccoli che risiedono le forze più grandi

Illustrazione 1: Gustav Klimt - Giuditta e Oloferne II.
La geometria “casuale” del triangolo rettangolo.

«È nei punti più piccoli che risiedono le forze più grandi» è un aforisma di Herman Userer che ho tratto dal citato testo di Elisa Danesin che costituirà la bibbia durante il mio percorso geometrico annunciato.
Nel caso della Giuditta dell'illustr. 1, è inevitabile - mettiamo per Oloferne nell'impatto con la prorompente Giuditta - indirizzare il suo occhio, preso dal desiderio carnale, nei punti strategici che gli si protendevano quasi aggredendolo e tramortirlo, i due seni e in particolare il capezzolo destro. I punti B e C sono i più piccoli di tutta la figura di Giuditta che si sviluppa in altezza, ma sono effettivamente i suoi più grandi punti di forza. Non manca, però, di avere qualche buona probabilità di essere notato, il neo sulla tempia sinistra, cosa che potrebbe indurre Oloferne ad essere prudente ed evitare di essere travolto dai sensi e dalla crapula del vino. Ma non dovette servire tanto questo punto di forza che nel grafico ho indicato con A.
Tuttavia, se fosse concepibile traslare la cosa, dovette servire all'autore del racconto biblico, per farla assurgere ad eroina del popolo ebraico. Ma nella mente Klimtiana, che non era religioso, furono ben altri gli intenti del suo apprestarsi a dipingere Giuditta che erano tutti in favore della donna della sua epoca disposta a liberarsi dal potere della società governata da uomini. Ed è in questa direzione che si agita, in Giuditta, la mannaia-spada onde sia reciso il capo di Oloferne, una chiara evirazione del maschio.
Traggo dal brano dello scritto di Elisa Danesin, «3.2 II mito: la cacciatrice di teste», la seguente parte che puntualizza l'intento di Klimt nel dipingere Giuditta e Oloferne I: «[...] Il contesto dell'opera e in generale della vita del pittore è importante: agli inizi del Novecento Vienna è investita da un vortice di forze contrastanti tra le quali ha grande rilevanza la battaglia a favore di una nuova donna libera ed emancipata. In tutta Europa infatti si anela ad una donna che possa prendere parte agli sport, alla danza, che possa smettere le stecche e i colletti rigidi: mosse dall'esigenza di libertà, le donne iniziano così in quel periodo ad indossare i pantaloni e a fumare. (3)
Ed è in questo senso la rappresentazione pittorica della prima Giuditta eseguita nel 1901, rifulsa di oro, che non esclude l'esaltazione biblica dell'eroina del popolo ebraico in Giuditta.
Ecco che tutto ciò, tradotto negli elementi geometrici dell'illustr 1, trova appoggio nella riflessione in quest'altro brano del testo di Elisa Danesin, «2 Tra tempo e forme: i fantasmi e i sintomi»: «Secondo Aby Warburg la produzione artistica è la risultante di due movimenti oscillanti: ethos e pathos.
Per una completa e autentica comprensione dell'opera d'arte, non è possibile quindi esaminare i due movimenti separatamente: l'ethos, l'elemento tra i due legato al sapere e alla funzione del raziocinio, è tanto importante e insostituibile quanto l'elemento patetico, legato più ad un ambito inconscio, pulsionale.».
Si è capito che l'ethos walburghiano fa capo, proprio a quel neo indicato con A, mentre il pathos riguarda i due capezzoli indicati con B e C.
A questo punto il triangolo ABC dell'illustr. 1 è solo il presupposto per sviluppare la geometria che seguirà e che si conclude per mettere in luce un insospettato pentagramma eseguito in due versioni. La prima versione è concepita secondo il punto di vista A e la seconda secondo B. Si noterà che ho preferito tracciare il triangolo, che è rettangolo, con il cateto AD tangente al punto C, il capezzolo visto di lato, che non è molto influente come l'altro, come del resto è anche vista tutta la figura di Giuditta.
Geometria del cerchio inscritto e circoscritto del triangolo rettangolo ABD

Illustrazione 2: Gustav Klimt - Giuditta e Oloferne II.
Geometria del cerchio inscritto e circoscritto al Triangolo rettangolo ABD.
In anteprima si tracciano gli assi cartesiani del punti A, B, C, D e il centro O che divide l'ipotenusa AB in due parti uguali. O è anche il centro del cerchio circoscritto del triangolo in questione. In seguito, una volta rintracciato anche il centro O', del cerchio inscritto al triangolo rettangolo, si tracciano i relativi assi cartesiani. Infine si traccia il terzo cerchio di raggio OO' che servirà per concepire la geometria del pentagramma che segue.

Geometria del pentagramma del "pathos" waburghiano

Illustrazione 3: Gustav Klimt - Giuditta e Oloferne II.
Geometria del pentagramma del “pathos” waburghiano,
eseguito secondo il punto di vista B e la direttrice EF.
Si traccia la direttrice EF di riferimento della geometria in atto in questa fase. I due punti O e O', i centri del cerchi inscritto e circoscritto del triangolo rettangolo ABD, appartengono alla direttrice EF. Poi si traccia il segmento BH tangente al cerchio di raggio OO' che sarà tracciato in precedenza. A questo punto si riscontra che l'angolo AOH ha come bisettrice la semi-direttrice OE appena eseguita e la sua misura è 72° sessagesimali, giusto 1/5 dell'angolo giro del cerchio circoscritto suddetto. Facile dedurre che questo angolo porta alla concezione del pentagramma BFGAHI, proprio la figura geometrica annunciata in precedenza. Si noterà subito che la punta F della direttrice EF è rivolta in basso e questo, in anteprima porta alla consapevolezza per via esoterica (4) della stella del pathos waburghiano.
Intanto mi preme confrontarmi con il brano in proposito dello scritto di Elisa Danesin sopra citato che è questo:
«4.6 La terza clausola: il dettaglio come elemento del sopravvivente».
«Giuditta come cacciatrice di teste, sfuggente, che porta con sé la testa di Oloferne e ci perturba mettendo in primo piano quelle sue mani-artigli-isteriche, è pericolosamente vicina alla figura che conclude l'euripidea Le Baccanti: Agave. Secondo la tragedia, dopo aver dilaniato il figlio Penteo in preda al menadismo la donna torna trionfante a Tebe ancora in veste di cacciatrice, portando con sé come un trofeo la testa del figlio infilata nel tirso, credendo fosse la testa di un leone. Fiera della sua forza, così si rivolge ai Tebani:
"Voi che abitate la rocca di Tebe dalle belle torri, correte a vedere questa preda, che abbiamo preso noi, figlie di Cadmo, e non con giavellotti di Tessaglia dalle cinghie di cuoio, non con le reti, ma solo con la forza di queste mani candide: e allora, perché vantarsi e procurarsi invano strumenti di guerra da chi fabbrica armi? Noi solo con queste mani abbiamo catturato l'animale e le sue membra le abbiamo fatte a pezzi con queste stesse mani. " (5)
Cadmo suo padre, inorridito dalla ferocia e dall'inconsapevolezza che guida Agave, sfoga il suo dolore per la perdita dell'amato nipote:
"Opena infinita! Io non posso guardare / lo scempio compiuto da queste vostre mani disgraziate". [...](6) Nell'ottica del Nachleben (7)le mani di Giuditta II sono pervase da una forza antica: un pathos tale che riecheggia da Euripide alla tela di Klimt e riconferma la loro connotazione mortifera fino a renderle delle formule di pathos.»
Non resta altro che intravedere il pentagramma dorato, giusto in felice sintonia dell'opera pittorica klimtiana, «Giuditta e Oloferne I», rifulsa di oro. 

Geometria del pentagramma dell'“ethos” waburghiano
 

Illustrazione 4: Gustav Klimt - Giuditta e Oloferne I.
Geometria del pentagramma dell' “ethos” waburghiano,
eseguito secondo il punto di vista A e la direttrice EF.
Le operazioni grafiche contenute nell'illustr. 4 sono analoghe a quelle eseguite nell'illustr. 3, perciò non occorre che io ne illustri il percorso seguito. Il pentagramma è naturalmente simmetrico, secondo la direttrice EF al pentagramma disegnato in viola dell'illustr. 3 anzidetta. La punta E è rivolta in alto e questo ci assicura sull'auricità del pentagramma.
Geometria del pentagramma delr'ethos" waburghiano
È il brano del testo di Elisa Danesin, «3. Giuditta I e Giuditta II: due donne diverse», che meglio descrive la differenza dei miei grafici, quello fulgente dorato e l'altro violaceo funesto, tradotte in parole.
«È sufficiente guardare le due Giuditta klimtiane una accanto all'altra per notare che sono molto differenti: potrebbero sembrare dipinte da due artisti diversi. Nella prima versione l'oro è una presenza rilevante: il suo uso è riservato agli elementi di decoro ossia lo sfondo, le vesti e il collare, i quali nell'economia del quadro occupano quasi metà della tela. L'incarnato di Giuditta è roseo, l'atteggiamento è diretto e sensuale. Nella seconda versione di Giuditta invece, sembra raffigurata un'altra donna: il motivo decorativo dorato è inesistente, la veste e lo sfondo sono connotati da tinte forti e contrastanti. L'incarnato è pallido, quasi esangue, l'atteggiamento è di fuga e ferino. Completamente diverso si evince sia anche il modo di vivere l'atto che entrambe hanno appena compiuto: da una parte c'è fierezza, espressione di sfida, un'ostentata sensualità che nasconde la minaccia di evirazione; dall'altra c'è una sfuggente - e forse inconsapevole - ferinità. [...]»

Brescia, 12 novembre 2012
 
____________
1 Tesi di laurea 2007-2008 della laureanda Elisa Danesin - Ricerche sulle Giuditta di Klimt. Uno sguardo warburghiano - Esercizi Filosofici 5, 2010, pp. 31-52 ISSN 1970-0164 - link: http://www.univ.trieste.it/~eserfilo/art510/danesin510

2 Wood, C.S., «Londres-New York- Los Angeles: Les errances posthumes d’Aby Warburg», in Matthias Waschek (ed.), Relire Warburg, Musée du Louvre, Paris 2007, p. 6.
3 Gombrich, E.H., Aby Warburg. An intellectual Biography, The Warburg Institute, University of London, London 1970; trad. Aby Warburg. Una biografia intellettuale, Feltrinelli, Milano 2003, p. 102.
4 La Stella a 5 punte, ovvero il Pentagramma, noto nella Massoneria col nome di Pentalfa, per gli antichi Egizi raffigurava il Sole, Horus, nato da Iside e Osiride. Di seguito fu usata da Pitagora per dimostrare il segmento aureo. Il rettangolo, avente i lati che rispettano la proporzione aurea, è detto rettangolo aureo ed esso si può originare tantissime volte nel cosiddetto Pentalfa. La Stella a 5 punte è anche chiamata Stella dei Magi, in ossequio al segno di potenza e di luce che illumina il cammino spirituale; per questo motivo viene messa sul presepio e sull'albero di Natale. Il Pentalfa con una punta protesa verso l'alto che inscrive una figura di «uomo» ha una valenza luminosa e benefica. Al contrario, rovesciato diventa il Pentacolo con inscritta una «testa di Capro» di valenza malefica, in opposizione alla Luce, emblema degli istinti e dell'animalità.
Il capovolgimento non da valore negativo solo a questo simbolo, ma ad ogni altra simbologia. Il Numero 9 9 9, ad esempio, rappresenta la spiritualità e la perfetta iniziazione. Capovolto diventa il Numero 666 dal significato demoniaco e contro-iniziatico. Lo stesso vale per la croce latina, che capovolta da simbolo cristico diventa una rappresentazione satanica.
http://www.esonet.it/News-file-article-sid-763.html
5 Euripide. Le Baccanti, cit., vv. 1205-1210
6 Euripide. Le Baccanti, cit., v 1245
7 Col concetto di Nachleben, ovvero “sopravvivenza”, Warburg mostrava come nel Rinascimento fiorentino fossero “ritornate” delle figure e formule (le pathosformeln) appartenute alla classicità greca in primis, e che si sono riproposte nel corso della storia in maniera non prevedibile. Rintracciare e ricostruire la storia di un’immagine significa superare l’abituale concezione crono-logica del tempo, inteso come successione di momenti. http://guide.supereva.it/filosofia/interventi/2009/07/la-teoria-dellimmagine-in-warburg

lunedì 19 novembre 2012

IL PICATRIX A BRISIGHELLA ( seconda parte)


Le opere sapienziali degli antichi cominciarono a tornare in Europa in formato originale, direttamente dall'Oriente. L'evento più importante fu la divulgazione di opere inedite di Platone, dei Neoplatonici e di molti altri. In questo clima culturale il Picatrix, accanto ai Versi Aurei e agli Oracoli Caldaici, trovò la sua perfetta collocazione forse più in senso intellettuale che pratico. Le teorie magico-scientifiche del Picatrix appaiono oggi molto ingenue.

Il Picatrix è un antico manoscritto esoterico noto per essere diventato protagonista, diretto o indiretto, di numerosi romanzi gialli, come ad esempio quelli scritti da Valerio Evangelisti e da Umberto Eco.
Si tratta della traduzione latina, diffusasi tra tre e quattrocento, di un testo più antico di origine araba, il cui titolo vuol dire "la fine del saggio".
Il testo tratta delle corrispondenze tra simboli e forze naturali, e spiega come vaticinare il futuro studiando le simpatie tra pietre, animali, pianeti e piante, dando anche delle vere e proprie "formule magiche" da poter applicare. Si può facilmente immaginare allora come nel Medioevo si sia tacciato il testo di stregoneria trasformandolo in un manuale oscuro legato all'evocazione del demonio.
In realtà questo formulario fu usato e conosciuto da alcuni dei più grandi pensatori del passato: solo per citarne alcuni, Pico della Mirandola, Marsilio Ficino e Leonardo.
Per lungo tempo ha trovato diffusone in forma manoscritta, venendo stampato solo di recente, una volta levata da bolla di testo proibito.
L'attuale versione esistente, in più si fonda, su un ritrovamento curioso effettuato a Brisighella, paese di ottomila abitanti in provincia di Ravenna, negli anni ottanta. Infatti si scoprì che la vulgata del Picatrix si basava su una sua copia fatta proprio a Brisighella il 21 maggio 1536, in una casa presso il palazzo comunale.
Merito della piccola cittadina dunque la versione che possiamo leggere ancor oggi, e che verrà ristampata proprio in questi giorni dalla casa editrice Mimesis: un modo per poter di nuovo attingere alla saggezza antica che affonda nelle radici stesse della nostra civiltà.

immagine di Teoderica


venerdì 16 novembre 2012

IL PICATRIX A BRISIGHELLA ( prima parte)


Il Picatrix è un famoso Trattato di Magia che per secoli fu bollato come opera satanica. In realtà, questo manoscritto è uno dei testi redatti dagli studiosi Arabi desiderosi di recuperare e rielaborare le conoscenze del mondo greco. In Europa queste opere vennero epurate dai cristiani. Solo gli studiosi Arabi e pochi fortunati viaggiatori avevano la possibilità di consultare fonti ormai introvabili in Occidente, messe in salvo dagli autori pagani in fuga dalle persecuzioni di un Cristianesimo ormai lontano dal più autentico pensiero di Cristo.
Dopo la spartizione di ciò che restava dei territori dell'Impero Romano, seguì un periodo di pace che portò alla riapertura delle vie commerciali e degli scambi culturali. Le Opere Arabe furono, quindi, tradotte in latino e re-immesse nel circuito Europeo dove trovarono, spesso di nascosto, ampia diffusione tra gli studiosi Medievali. L'Origine della fortuna del Picatrix, come di molti altri manoscritti, fu dovuta al fatto che questi si rifacevano alla tradizione filosofica greco-romana, la quale, volente o nolente, restava il tessuto connettivo della cultura medievale, nonostante la Chiesa continuasse a cercare di occultarlo con assimilazioni improprie, torture e roghi di persone e di libri. Il tema centrale del Picatrix tratta della possibilità di influenzare e comprendere il mondo con atti magici, in virtù di precise conoscenze mutuate dall'Astronomia greca, i Misteri antichi e la Filosofia naturalistica, riconosceva una corrispondenza fra macrocosmo (la natura) e microcosmo ( l'uomo). Passato il Medioevo, anche nel Rinascimento il Picatrix fu tenuto in gran considerazione grazie al clima di maggior tolleranza che circondò gli Umanisti.


immagine di Teoderica

martedì 13 novembre 2012

DOVE E' ANDATA LA MIA SPENSIERATEZZA?


Farfallina spensierata
R. Pezzani
Farfallina spensierata
lo sai tu dove sei nata?
Eri bruco in una cella,
senza sole e senza stella.
Poi nel sole sei uscita,
come un fiore sei fiorita;
come un fiore senza stelo
che il buon Dio gettò dal cielo.


Non si può combattere contro gli anni, mi piacerebbe però ritrovare la spensieratezza della giovinezza, almeno quella. Dove è andata quella? Sono convinta che si possa ripescare.
E' con gli anni che si diventa pesanti e pensanti e a cosa serve poi?
Non so voi, ma io ho deciso che, anche se non avrò più gli anni ritroverò comunque lo spirito dei miei vent'anni.
E voi che farete?

immagine di Teoderica

sabato 10 novembre 2012

AUTUNNO MON AMOUR

AUTUNNO
Autunno. Già lo sentimmo venire
nel vento d'agosto,
nelle pioggie di settembre
torrenziali e piangenti
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
Ora passa e declina,
in quest'autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.
Vincenzo Cardarelli
Il miglior tempo della nostra vita e lungamente ci dice addio...ed ecco che Cardarelli paragona l'autunno alla vecchiaia, un sole smarrito è la nostra giovinezza e la nostra maturità. Questa poesia si imparava a memoria a scuola e sancisce che a scuola, dopotutto si imparano le cose più belle. Già allora appena dodicenne pensavo alla morte, con paura e con terrore, ed ora che sono diventata grande ed arrivata alla soglia dell'autunno mi dico che l'autunno in gioventù mi ha regalato il giorno più bello, la nascita di mio figlio, e perciò il mio autunno sarà forever bello.

immagine di Teoderica

mercoledì 7 novembre 2012

HAIKU


L'haiku è un componimento poetico la cui struttura tradizionale è formata solo da tre versi, rispettivamente di 5-7-5 sillabe, per un totale dunque di 17 sillabe. Si tratta di una delle forme più importanti, e probabilmente più conosciute all'estero, di poesia tradizionale.
Creato in Giappone nel secolo XVII, l'haiku ha come soggetto scene rapide ed intense che rappresentano, in genere, la natura e le emozioni che esse lasciano nell'animo dell'haijin (il poeta).

Il tetto si è bruciato:
ora
posso vedere la luna.

Masahide


...della serie la speranza e l'ottimismo

domenica 4 novembre 2012

LAMIA IL PRIMO VAMPIRO E LA VITTORIA DEL PATRIARCATO


Nella mitologia esistono demoni femminili che possono essere considerate figure vampiriche perchè anche loro assetate si sangue.
Figure in parte umane e in parte animalesche, rapitrici di bambini, per nutrirsi del loro sangue e della loro carne.
Sono le lamie.
Lamia secondo il mito era stata una bellissima regina della Libia che aveva avuto da Zeus il dono di togliersi e rimettersi gli occhi a proprio piacere.
Attirò su di sé la rabbia di Era gelosa, che si vendicò uccidendole i figli avuti da Zeus.
Lamia, lacerata dal dolore, diventò un mostro, aveva però la capacità di mutare aspetto e di divenire bella per sedurre gli uomini allo scopo di berne il sangue. In altre versioni , divorava i bambini delle altre madri, succhiando il loro sangue.
Rimase malevola anche nel Medioevo e nel Rinascimento: era divenuta la strega.
Altra caratteristica che accomuna le lamie ai vampiri è la capacità di trasformarsi in uccello notturno.
L'identificazione della lamia coi riti di sangue e la stregoneria è un dato che forse risale alla preistoria, quando la scoperta del sanguinamento mensile femminile, cui la donna sopravviveva, sangue che era finalizzato alla fertilità, rendeva le donne detentrici del potere di morte/vita, forse creare la lamia fu il simbolo della  vittoria della società patriarcale su quella matriarcale.
L'origine di questa figura va probabilmente ricercata nell'archetipo della dea della notte o dea-uccello. La connessione con la notte (per associazione: magia, soprannaturale, mistero, ma anche morte, fenomeni inspiegabili e così via) spiega, almeno in parte, l'ambivalenza di sentimenti nei confronti della lamia.
C'era un modo per catturare la lamia, ad esempio, ve n'era uno secondo cui bisognava cospargere le panche della chiesa di sale grosso: quelle streghe che, nascondendo la propria vera natura si fossero sedute fingendo di presenziare alla cerimonia religiosa, sarebbero inevitabilmente rimaste attaccate alle panche.
La lamia che vi mostro nella foto, proviene proprio da una chiesa, precisamente da San Giovanni Evangelista a Ravenna, è una lastra mosaicata del XIII secolo, oggi esposta su un pannello musivo, un tempo facente parte del pavimento della chiesa.




giovedì 1 novembre 2012

SONO SFIORITE LE ROSE


In un momento

In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose

P.S. E così dimenticammo le rose.

(per Sibilla Aleramo)

Dino Campana (Canti Orfici, 1913)


Secondo un mito non molto conosciuto, Marte, il dio della guerra, nacque da una rosa. Non per niente, in tempo di pace era anche il protettore dei giardini!
Il viaggio di un amore non è mai facile, è costellato da guerre e da tregue.
Dino Campana amava Sibilla Aleramo. Siamo nel 1917, lui aveva 31 anni, lei 40. In questa poesia sta scritto tutto. La loro storia, che poi è quella di tutti, il dolore, la passione. Sibilla era stata il primo ed unico amore di Dino, il loro amore terminò quando Dino fu internato. Dino Campana morì il 1° marzo del 1932 nell’Ospedale psichiatrico di Castel Pulci, dov’ era stato internato 15 anni prima, a quarantasette anni.



immagine: Rose di Teoderica