venerdì 31 dicembre 2010

AUGURI A TUTTI VOI

AUGURIO


lo credo all'uccellino batticoda:
che ci porti il buon anno.
Scorre liscio su l'umido tappeto
di bruni muschi, alla soglia del mare,
sosta un tratto a beccare, e poi di nuovo
scivola via come una spola, vola,
sparisce in cielo. Neppur ci ha guardati.
Ma è bello, affusolato, grigio e bianco:
porta, certo, il buon anno.


Diego Valeri

mercoledì 29 dicembre 2010

I VIAGGI DI GILLES ( racconto incasinato)

S ANTONIO da PADOVA 23 puntata

Per una catena di S. Antonio, il mio Gilles perse la fama.

Le cosiddette catene di sant’ Antonio sono un sistema per propagare un messaggio inducendo il destinatario a produrne molteplici copie da spedire, a propria volta, a nuovi destinatari. A volte sono bene augurali a volte contengono minacce e superstizioni e come un virus si propagano senza fine. Anche se a volte sono simpatiche e ben fatte è bene non cadere nel tranello perché sono comunque un entrare in casa degli altri senza chiedere permesso.

Ora vi devo parlare di sant’ Antonio l’ ispiratore delle catene. Vedrete che il discorso sarà un po’ confuso, ma chi mi ha letto sino a qui, si sarà reso conto di essere in un coacervo di caos. Le catene sono ispirate al santo più venerato ma io non so scegliere fra i due Antonio, cioè fra quello di Padova e l’ Antonio eremita .

Ambedue i santi hanno forti legami con la Romagna e quindi anche con me.

Sant’ Antonio da Padova nasce nel 1195 a Lisbona il 15 agosto, nel 1220 viene ordinato sacerdote poi scosso per l'uccisione di cinque frati francescani missionari in Marocco, chiede e ottiene di farsi francescano e di partire in missione. Appena arrivato in terra africana, una strana malattia infrange il suo sogno ed è costretto a ritornare. La nave sulla quale si era imbarcato, per evitare il naufragio è costretta ad approdare in Sicilia. Da qui parte per prendere parte al Capitolo generale dei francescani, ad Assisi. Antonio incontra san Francesco. Frate Graziano, ministro generale della Romagna, conduce con sé il frate portoghese, affinché celebri la santa Messa ai Frati del romitorio di Montepaolo. Questo eremo esiste ancora, è quello raffigurato nella foto, qui vi è conservato una reliquia del santo e vi sono due percorsi esterni : il Sentiero della Speranza con pannelli che rappresentano la vita del Santo e il Viale dei Mosaici dove é raffigurata la storia di Montepaolo. E' qui, a Montepaolo che Antonio vive da eremita la regola francescana. Nel 1222 il 24 settembre, in occasione di una ordinazione sacerdotale celebrata a Forlí, deve tenere, per obbedienza, un sermone, che fa un'enorme impressione. Cosí comincia la sua grande epopea di predicatore, di docente e di ministro dell'Ordine. Di qui la sua predicazione si estende a tutta l'Italia settentrionale e alla Francia meridionale.
Nel 1224 diviene insegnante di teologia nelle scuole di Bologna e di Montpellier. Nel 1226 è custode della provincia di Limoges e poi ministro provinciale della Romagna. Nel 1230 provato dalla malattia, si ritira a Padova, nel convento di S. Maria Madre del Signore. Qui si dedica alla compilazione dei Sermoni. Il 13 giugno 1231 muore.


immagine: Eremo di Montepaolo

domenica 26 dicembre 2010

INTERMEZZO

  



Dopo avere presentato la libellula come simbolo di rivelazione e come inizio di scoperta di sé stessi, vi propongo il cammino verso il compimento della rivelazione, con la presentazione simbolica del cigno, il quale significa raggiungimento di sè stessi. Tutti quanti conoscerete la favola del brutto anatroccolo che si trasforma in bel cigno, da me così amato nell' infanzia credendo alludesse ad un cambiamento fisico, no, la vera bellezza è interiore, è questo che significa il cigno: arrivo alla nostra bellezza vera e nuda, vi ricordo che la Venere celeste cioè pura è sempre rappresentata nuda e naturalmente la nudità non è intesa quella fisica. Il cigno è il simbolo di saggezza, amore sincero, fedeltà, innocenza, purezza, forza e coraggio. Il cigno dona la capacità di interpretare i sogni e rappresenta l'evoluzione spirituale. 
 I cigni guidavano il carro di Dionisio, di Venere, e quello di Helios, di cui era la più perfetta raffigurazione simbolica. Gli aedi cantavano che Apollo, sole proveniente dallestremo nord, ritornava verso le regioni boreali su un carro trainato da cigni, attraversando una barriera di ghiaccio verso una mitica regione dall’eterna primavera. Ma in cigno si trasformò anche Giove quando, desiderando Leda , la vide dormire, sotto un albero, sul monte Tagete. Quando Leda si sveglio, vide un gran cigno luminoso e udì la sua voce e poi Leda ebbe un grosso uovo da cui nacquero due gemelli: Castore e Polluce. Nella mitologia irlandese vi è il bel racconto di Oengus e di Caer.
Una notte Oengus sogna una giovane fanciulla sconosciuta. Al risveglio si scopre appassionatamente innamorato di lei, e incomincia a cercarla per la campagna. Infine riesce a trovare Caer ("bacca di tasso"). La ragazza vive vicino a un lago, un varco per l'Altroregno. Caer e le sue amiche sono creature soprannaturali e, ad anni alterni, a Samhain, si trasformano in cigni. Tutte loro hanno una graziosa catena attorno al collo, ma solo quella di Caer è d'oro. Anche se Oengus implora il padre di Caer di poterla sposare, l'uomo si rifiuta di dare il suo consenso, poiché una profezia ha predetto che lui morirà il giorno delle nozze della figlia. Solo a Samhain, quando i confini tra i mondi sono sottili come veli, Oengus potrà fuggire con l' amata. In attesa di Samhain si trasforma a sua volta in cigno e vola via insieme a Caer, volteggiando tre volte sopra il lago per addormentare gli altri con un incantesimo e farli dormire tre giorni e tre notti.
Il cigno dunque rappresenta la comunicazione fra gli elementi, fra i diversi mondi e come animale sacro alla Dea è considerato un simbolo del sole e un messaggero degli dèi, benefico e sacro, possessore di poteri magici legati alla musica e al canto, uniti ai poteri di guarigione del sole e dell'acqua. Il cigno rappresenta anche la luce dello spirito, la scintilla divina nell'uomo. Il suo volo è paragonato al ritorno dello spirito verso la propria sorgente e rappresenta la parte dell'uomo che tende al bene, al meglio di sé, alla perfezione, alla spiritualità. Rappresenta il percorso di riscoperta del proprio sè e della propria bellezza interiore, dal goffo anatroccolo alla splendida maestosità e grazia del cigno bianco adulto. 
Nella foto è un'immagine del Lago dei cigni di Matthew Bourne, è il mio balletto preferito, qui Bourne enfatizza non la grazia ma l'energia e la possanza del cigno, come in realtà è, ( il cigno è un animale intelligente e altero ma è anche molto aggressivo se attaccato ) d'altronde per ottenere la conoscenza di sé stessi, la grazia e la bontà non bastano.

venerdì 24 dicembre 2010

BUON NATALE A TUTTI VOI


BABBO NATALE ESISTE

Qualsiasi cosa di chiara esistenza si dice: lo sa anche un bambino.
Tutti i bambini sanno che esiste Babbo Natale.
Ma ai filosofi non basta.
Loro vogliono prove.
Eppure...
Il filosofo della scienza Paul K. Feyerabend racconta, che a otto anni, si trovò, come al solito, di fronte Babbo Natale ma:...vidi anche le scarpe di mio padre, che gli anni prima non avevo mai notato, vidi i suoi occhi dietro l' enorme barba, e sentii parlare lui e non Babbo Natale.
Era mio padre, chiaramente era lui, ma altrettanto chiaramente non era lui, ma era Babbo Natale.

mercoledì 22 dicembre 2010

INTERMEZZO

IL CALDERONE DI MORGANA vedi qui

I miti riconducono a fatti religiosi. I riti sono atti e formule che mettono in

scena i concetti religiosi con i simboli. Quindi i simboli veicolano i concetti

religiosi ma anche quelli laici e politici. Da bambina mi sembravano ridicoli i

sacerdoti egiziani e allo stesso tempo ritenevo S. Tommaso (che non credeva

se non verificava) uno stupido. I miti raccontano come è nato il mondo, la

società, come sono nate le distinzioni, chi ha inventato la tecnica ecc. Mito

deriva dal greco e significa racconto. Il mito inizia con la separazione, il mito

non è infantile, anzi organizza e spiega il giusto/sbagliato. Accanto ai miti vi

sono i riti che rivitalizzano il mito, col loro complesso di simboli realizzano

l’ideologia (messa, preghiera mussulmana, parata militare, trionfi, olimpiadi,

la mummificazione egiziana ecc) Ogni civiltà ha i suoi miti, riti e simboli e

capirli e riconoscerli è capire come tale società gestisce il potere. Noi

crediamo i nostri miti come verità e consideriamo quelli di altre civiltà senza senso ma... i culti melanesiani

del Cargo avevano adepti che predicavano l’arrivo del Cargo, queste popolazioni prima avevano visto

arrivare i Giapponesi coi loro beni (durante la II Guerra mondiale, poi gli americani con altri beni, ed allora

essi pregavano per l’arrivo del Cargo che portassero a loro la stessa ricchezza... il culto di Mami Wata si

sviluppa in Africa poi in Europa, tramite gli emigranti, Mani Wata è ambigua può portare ricchezza, ma anche

miseria (infatti è ciò che può capitare all'emigrante)... e Tio la divinità andina del sottosuolo è cambiata col

mutare delle condizioni dei minatori, nel 1500 era vestito con abiti dell'inquisitore spagnolo, poi con gli abiti

del cowboy (oggi il loro rame è acquistato dalle multinazionali)... i Nord Americani davano perline agli indiani

in cambio di pellicce, ma gli indiani ne avevano tante, mentre le perline servivano loro per acquistare

prestigio nella loro tribù... e nel 1500 gli abitanti delle isole Salomone chiedevano il cappello ai marinai

spagnoli, che erano giunti lì, in cambio davano il loro bastone d’oro che portavano appeso al collo, gli

spagnoli pensarono di aver trovato un nuovo Eldorado, ma il bastone era di pirite e il cappello serviva agli

indigeni perché era simile al copricapo che usavano i loro “re”... Detto ciò si evidenzia che il simbolo per

poter essere sacro deve essere riconosciuto come tale

In vedi qui c'è l' interessante link con un saggio di Gaetano Barbella

lunedì 20 dicembre 2010

I VIAGGI DI GILLES ( racconto incasinato)

22 puntata


Ci fu un altro pomposo contatto, da un importante critico d’ arte. Un critico coi fiocchi, di quelli che hanno un curriculum lungo, lungo che incute soggezione solo a guardarlo. Con modi professionali e tecnici, senza ombra d’ ironia , né calore, si degna di osservare il Gilles , perché forse potrebbe portarlo in Giappone. Il critico si occupa di promuovere l’ arte italiana nel paese orientale dei peschi e delle peonie e dei draghi ( peschi, peonie e draghi ne abbiamo tanti anche in Romagna) e forse può interessargli anche il mio lavoro artistico. Mi lascia il suo indirizzo e-mail, riservato e per pochi, e mi lascia in quella specie di brodo di giuggiole in cui il solito io prepotente e potente aspira alla fama.

Sarebbe un bello schiaffo per quelle persone che disprezzano il mio lavoro, non dico che debba piacere, ma solo riconosciuto che cerco di mettermi in gioco con tutta me stessa.Mi sembra impossibile però che io sia una vera artista , sono così poco tecnica, così incostante, io mi considero una scassabubbole, che non so bene cosa significhi, ma mi piace la parola.

Il Giappone sarebbe anche un bel viaggio per il Gilles, che fino ad ora, doveva andare a Ravenna, poi a Roma, a Milano ed invece non si è mai mosso.

In mezzo a questi sogni di fama, mi arriva nella posta elettronica una specie di catena di Sant’ Antonio. Questa catena ha aforismi sul vile denaro che non compra nulla, il denaro compra l’ artificio e non l’ arte. Di solito cestino queste catene, ma questa ha svegliato in me, una specie di furore irrazionale e l’ ho inviata agli indirizzi della mia rubrica, ai miei amici ed anche al famoso critico.

Neanche cinque minuti e mi è arrivata la risposta del famoso critico: “ Questo è un indirizzo di lavoro, sono costretta a negarle l’ accesso in quanto lei è una persona irresponsabile e sciocca.”

Addio sogni di fama.


immagine: Gilles

venerdì 17 dicembre 2010

I VIAGGI DI GILLES ( racconto incasinato)

21 puntata


Nella soleggiata piazza di Ravenna, ai tavolini del bar Roma, aspettando il gallerista milanese, sorseggiando il solito caffè al ginseng in tazza grande, mi godevo l’ ultimo sole di settembre e per calmare l’ agitazione pensavo a tutte le numerose serate estive passate, proprio qui, in piazza, a parlare , io più ad ascoltare, le dissertazioni sul dimenticato significato del termine “ logos “ che vorrebbe dire non solo parola ma ragione, ed altre amenità di questo tipo, quando sentii una mano sulla spalla.

“Con una giornata così bella, non inizieremo subito a parlare di lavoro, ti ho messo una mano sulla spalla, ma sei un groviglio di nervi tesi.” Mi apostrofa il gallerista milanese.

“Ciao, sì già ho problemi con la colonna vertebrale perché ho i muscoli poco elastici, in più usando il computer mi sono accorta di non tenere una postura corretta , devo proprio prenotare qualche massaggio per sciogliermi un po’.

“ Alzati, ho sofferto anch’ io di mal di schiena e sono diventato quasi un massaggiatore professionale, alzati , non avere paura, ti tocco solo le vertebre, vedrai come starai meglio dopo, su, su.”

“ Non mi sembra il caso.”

“ Ma di cosa hai paura, qui in mezzo alla gente, con la piazza piena.”

Mi alzo ed il noto gallerista milanese, mi massaggia con due dita, spingendo le vertebre.

“ Dai rilassati.” Mi dice.

Ed io improvvisamente, sento, senza ombra di dubbio, da dietro, la sua erezione.

Indignata mi allontano e lo fulmino con lo sguardo, prendo in mano la borsa e lascio i soldi per il caffè.

“ Ma che hai, dai siediti, non si fa così, soldi non ne vuoi spendere, io ti aiuto lo stesso e tu ti arrabbi, non ti capisco proprio.”

“Io soldi non ne voglio spendere, perché mi sembra di comprare il lasciapassare falso per il mio Gilles, figurati se vendo me stessa.”

“ Stronza, ”mi dice il noto gallerista milanese mentre mi sto allontanando.

Furente mi giro col dito medio alzato, poi allungo il passo e me ne vado.

Gilles non andrà neanche a Milano, ma meglio così, che cambiare abitudini fa male alla salute.


immagine : Gilles

martedì 14 dicembre 2010

INTERMEZZO SPECIALE A CURA DI GAETANO BARBELLA







Tintoretto si autoritrae in Nozze di Cana

Di Gaetano Barbella

Tintoretto un incredulo San Tommaso apostolo?

Non pochi famosi pittori del Rinascimento si sono autoritratti nelle loro opere d'arte, come Raffaello che compare, quasi inosservato in un angolo di Scuola di Atene delle Stanze vaticane e, vedremo, anche Veronese che fa la stessa cosa ritraendosi insieme a Tintoretto, Tiziano e Bassano in Nozze di Cana. Qui, al contrario del caso suddetto di Raffaello, il quartetto è parte fondamentale del quadro poiché è posto al centro e in primo piano, quasi con l'intento di far da “sgabello” a Gesù posto al centro in alto.

Ma se Veronese ha avuto questa felice idea in onore di Gesù Cristo e, così, della sua Chiesa, cosa maggiormente rimarcata dal fatto che si tratta, in Nozze di Cana, del primo miracolo del Signore, un altro pittore, altrettanto famoso e suo rivale in arte, il Tintoretto, ovvero Jacopo Robusti, nell'analoga opera Nozze di Cana, fa di più audacemente. Egli è si autoritrae al centro del quadro relativo, almeno con certezza assoluta al centro in corrispondenza dell'arco centrale posto sullo sfondo (secondo il punto di vista di quest'arco e non secondo la direttiva mediana dei due architravi longitudinali). E così la tavolata del pranzo nuziale, con Gesù a capotavola in lontananza, è al lato come un incerto secondo piano, ma la cosa può essere anche immaginata come un Est, un eccelso sole sorgente, punto fondamentale di riferimento nelle Chiese medievali dove si colloca l'abside con l'altare. D'altronde si tratta del primo miracolo di Gesù, che lui non voleva stando al Vangelo che ne parla, ma che ha comunque operato perché la Madre gli ha forzato la mano. Per lui, in quel momento non era la sua Madre ma la Donna e lo fa capire. È complessa la comprensione della centrale postazione di Jacopo Robusti di padre bresciano maestro tintore di seta. Può apparire presuntuosamente inaccettabile e, forse, fu questa idea a indurre la riproduzione su stampa del quadro del Tintoretto in cui la figura presunta del Tintoretto appare piccola, appena visibile, assai incerta e per niente centrale. Se ne parlerà dettagliatamente verso la fine di questo scritto.

Non è nemmeno ignota la fenomenale personalità di Jacopo Robusti, assai tormentata dalla spinta di primeggiare in modo clamoroso, ma si può anche giudicare ardimento, forte slancio creativo per penetrare il mistero della vita, ma da accettare anche su basi dettate dalla materia e non solo dello spirito. E il miracolo di Cana deve averlo coinvolto a tal punto da tentare, con la sua presenza centrale in Nozze di Cana, di valicare, al “presente” epocale, l'irraggiungibile Est del Cristo attraverso il fatto materiale riposto nell'anfora del miracolo posta in primo piano. Infatti lo sguardo dell'ipotetico suo volto è fissato in questa direzione. A rimarcare questa mia concezione, quasi a voler vedere bene, a guisa di un San Tommaso incredulo che pone la mano nel costato di Gesù dopo la sua resurrezione, dispone l'unico grosso candeliere sospeso del salone, giusto in direzione verticale dell'anfora dell'acqua trasformata in vino.

L'uomo che sfida il mistero dell'acqua e vino

L'illustr. 1 e il particolare dell'illustr. 2 mettono in risalto l'immagine di un uomo che ha una marcata somiglianza con l'autoritratto di Jacopo Robusti detto il Tintoretto dell'illustr. 3.

Il quadro Nozze di Cana di questa immagine è stato fatto nel 1561, 14 anni circa dopo la presumibile data dell'autoritratto suddetto.

Dall'illustr. 1 è interessante riscontrare che la supposta figura del Tintoretto è collocata al centro del quadro di Nozze di Cana, giusto al centro dell'arco di mezzo della sala (se si disponesse il quadro originale si potrebbe verificare questa centralità relativa a tutta la tela). Mentre al centro dell'arco al lato, quasi a disporlo in secondo piano, c'è Gesù a capotavola. Tuttavia la posizione dell'uomo, supposto il Tintoretto, che è in piedi, si trova in direttiva dell'anfora della tramutazione dell'acqua in vino secondo le istruzioni di Gesù, tanto più che egli sembra osservare, quasi controllare o forse dubitare, questa operazione del miracolo.

Insomma, conoscendo la fama del Tintoretto disposto a tutto pur di strabiliare, di vincere e senza scrupoli, egli in Nozze di Cana ha veramente fatto ciò che tutti gli altri artisti del Rinascimento, anche più famosi di lui non hanno fatto.

Melania G. Mazzucco, che ha scritto un voluminoso libro sul Tintoretto, molto apprezzato, “Jacomo Tintoretto & i suoi figli. Biografia di una famiglia veneziana”, ediz. Rizzoli, scandaglia la sua forte personalità e ne parla come se lo conoscesse da sempre, per esempio così:

Come è suggestivo il racconto del rapporto che Jacomo, «un artista ambizioso e discusso, scorretto e devoto, colto e popolare, eccentrico e conformista, incalzato da un perenne furore creativo», intrattenne, per esempio, con il mefistofelico libertino e intelligentissimo Pietro l' Aretino, dal quale ebbe lodi ma anche veleni, sia pure camuffati dietro parole alate.

Oppure con «Il» pittore veneziano per eccellenza, il numero uno, il grande Tiziano Vecellio, acclamato e lodato in tutta Europa, amico dei potenti, intimo - quasi - dell' imperatore Carlo V, che mai volle lasciare spazio al più giovane collega, mai ne riconobbe il genio, guadagnandosi fin da subito il suo precoce odio quando - per invidia secondo la leggenda - buttò fuori dall'ambita sua bottega il ragazzo apprendista Jacomo. A quell'epoca il giovanissimo pittore ancora non si chiamava Tintoretto, ma al massimo Tintore, soprannome dovuto al mestiere del padre, Battista Robusti, eccellente maestro di tintoria di origine bresciana.

Forse la più impressionante e inquietante tra tutte le sue opere, ossessionò molti, pittori e scrittori, tra i quali Sartre, che a Tintoretto dedicò vari saggi, e che nell'Autoritratto ravvisò «un viso posseduto di vecchio assassino».[1]

Resta poi un fatto che convaliderebbe l'ipotesi dell'autoritratto di Tintoretto nella sua pittura Nozze di Cana. Poteva mai, Jacomo, «un artista ambizioso e discusso, scorretto e devoto, colto e popolare, eccentrico e conformista, incalzato da un perenne furore creativo», come suddetto, essere da meno di un altro artista, suo conterraneo, che lo incalzava, Paolo Veronese al secolo Paolo Caliari (Verona, 1528 – Venezia, 19 aprile 1588) con un'analoga opera pittorica di Nozze di Cana? Non solo per l'opera in sé altrettanto meravigliosa, ma perché Tintoretto vi si autoritrae coinvolgendolo insieme al Tiziano e Bassano. Questa mia opinione non sembra reggere perché l'opera del Tintoretto di Nozze di Cana è stata eseguita nel 1561, mentre l'analoga del Veronese nel 1562-63. Tuttavia non c'è da meravigliarsi che entrambi si sbirciassero scambievolmente i progetti grafici delle loro opere, magari con l'aiuto di amici fidati. E allora la mia ipotesi regge. C'è anche di più, perché può essere anche che lo stesso Veronese, potendo vedere l'opera eseguita più di un anno prima di lui dal suo rivale Tintoretto e rendersi conto dell'autoritratto, abbia ricambiato alla grande dandogli così una sorta di schiaffo morale, ritraendolo insieme a lui, a Tiziano e a Bassano. Veramente un bel colpo da maestro d'arte e di vita!

“Nelle celebri Nozze di Cana strappate brutalmente dalle truppe napoleoniche da San Giorgio Maggiore e oggi al Louvre, Veronese riassume la scena pittorica veneziana in un quartetto. Tiziano tiene la partitura con i suoni gravi del violone, Tintoretto si lancia nei virtuosismi solistici del violino, Bassano porta in laguna le tonalità terrestri del cornetto, Veronese sintetizza tutti gli armonici del concerto grazie al suono grave ma brillante della viola da gamba. Il messaggio è chiaro, celebrare la Serenissima dove le differenti voci dell’arte si armonizzano di fronte a Dio e alla sua corte terrena, l’aristocrazia lagunare. Raramente una civiltà sarebbe stata tanto cosciente della propria centralità storica. Raramente una cultura avrebbe inscenato la propria dimensione estetica con altrettanta chiarezza: l’unità del reale nel colore.”[2]

Una stampa che lascia perplessi

Ma non è finita la questione sull'ipotesi dell'autoritratto di Tintoretto in Nozze di Cana perché se ne aggiunge un altro che lascia imbarazzati, al punto da dar valenza alla mia ipotesi del suo autoritratto in Nozze di Cana vanaglorioso, o eccezionalmente ardimentoso.

Dunque nel 1612 fu eseguita una stampa del quadro Nozze di Cana del Tintoretto in questione. L'autore è Fialetti Odoardo (1562-1637) di professione incisore e disegnatore.

Riporto la descrizione che vi riguarda:

« Questa stampa riproduce nello stesso verso e con fedeltà un dipinto firmato e datato 1561, eseguito dal Tintoretto per il Refettorio del Convento dei Crociferi a Venezia. In seguito allo scioglimento della corporazione (1657) venne trasferito nella Sacrestia della chiesa di S. Maria della Salute, dove si trova tuttora. In origine centinata, la tela venne successivamente trasformata in rettangolare nel corso del Settecento. Durante i restauri del 1984 è stato restituito il formato originario.

Negli angoli superiori della stampa si trovano gli emblemi dei Crociferi, confraternita che commissionò il dipinto del Tintoretto ed alla quale apparteneva padre Opilio Verfa a cui la stampa è dedicata. Il confronto fra questa stampa ed un'altro esemplare conservato nel Fondo Calcografico della Pinacoteca Repossi, ha evidenziato l'esistenza di almeno due stati diversi, non registrati dalla bibliografia consultata. Collocazione: Chiari (BS), Pinacoteca Repossi. »[3]

Allora quale è il fatto imbarazzante di questa stampa eseguita esattamente mezzo secolo dopo la realizzazione del quadro relativo del Tintoretto?

Viene assicurato che la « stampa riproduce nello stesso verso e con fedeltà un dipinto firmato e datato 1561, eseguito dal Tintoretto », ossia Nozze di Cana, ma resta il fatto, appunto imbarazzante, che il supposto volto del Tintoretto, che ho posto in evidenza, non viene raffigurato quasi per niente. Si nota a mala pena una certa piccolissima traccia di volto al suo posto, mentre quella del quadro del Tintoretto, si è visto che è piuttosto evidente.

Che pensare a questo punto? A una distrazione dell'autore della stampa? O forse perché ai Crociferi della confraternita veneziana, che commissionò il dipinto a Tintoretto alla quale apparteneva padre Opilio Verfa cui la stampa è dedicata, non piaceva la MARCATA presenza del volto di Tintoretto che sarà stato riconosciuto per tale. Per loro, come del resto mi è parso di vedere la cosa, OFFUSCAVA la celebrazione sacra del quadro e dunque della stampa che a loro premeva rimediare in qualche modo.

Dunque, in conclusione, non c'è da meravigliarsi se l'intraprendente Jacomo, così come lo chiama Melania Mazzucco, ha fatto “vivere per sempre” sé stesso stando alla dedica della poetessa russa Marina Cvetaeva che è l’autrice dedica a Jacopo Robusti detto il Tintoretto: “Chi è vissuto una volta deve vivere per sempre. È questo il compito dei poeti”.[4] Tuttavia, questo non poteva essere se non come ha voluto concepire il suo rivale Veronese con un quartetto d'eccezione, come a mostrare un Rinascimento musicale in auge e allegro all'insegna del Cristianesimo.

Tintoretto il Galilei della pittura

Resta comunque in sospeso, la mia versione del coraggio “bestiale” di Jacomo Robusti, un bresciano di stirpe, di ardire un occulto battesimo di fuoco potendo essere possibile che si sia posto ad un relativo “centro” del suo dipinto.

Forse il “bel gesto”, di questo pittore del Rinascimento, ammettiamo pure che sia così perché può piacere al mondo laico del cattolicesimo, ci sfida per attuare una vita in coerenza col presente che alla sua epoca stava per dischiudersi attraverso la nascita della nuova visione del mondo. È la scienza che si oppone di lì a poco con la concezione del sistema eliocentrico al posto delle teorie copernicane care alla Chiesa. Tintoretto, con Nozze di Cana è l'irredentista di questa rivoluzionaria visione del mondo.

Che importa se quel volto sia veramente il suo, perché Tintoretto è come se si svincolasse dal quadro stesso ed un altro sé in sua vece è in quel volto. Quasi che fosse Galileo Galilei che, con un occhio osserva in alto il famoso lampadario del Duomo di Pisa al posto di quello del salone della Nozze di Cana e far balenare in lui la legge fisica del pendolo, e con l'altro occhio, verso il basso, verso l'anfora del miracolo, è Newton che medita sulla caduta dei gravi nell'osservare la famosa mela caduta innanzi lui, secondo la leggenda. L'acqua tramutata miracolosamente in vino, se nel passato è il primo segno di fede, traslato ai tempi moderni in cui la scienza non si pone limiti, è l'abbrivio all'osservazione scientifica che si oppone all'attrazione della forza di gravità spirituale delle religioni. Potremmo definirla antigravità laica.

Ma questa mia concezione, se pur concepita diversamente, la si intravede nel libro «Tintoretto è Venezia anche se non dipinge Venezia» scritto da Jean-Paul Sartre.

Jean-Paul Sartre (1905-1980) critico, scrittore, filosofo, è forse l’esponente più rappresentativo dell’esistenzialismo ed uno degli intellettuali francesi contemporanei più noti nel mondo.

«Tintoretto è un pittore che dipinge le relazioni spaziali che si hanno quando si scolpisce» riporta di Sartre una recensione di questo libro[5] e poi prosegue così:

Cento anni prima che Galileo e Newton ne descrivessero gli effetti, Tintoretto scopre l’onnipresenza della forza di gravità, dipinge corpi in perenne squilibrio, folle di personaggi accalcati che si schiacciano a vicenda, santi e angeli che, finalmente, “pesano”. Per la prima volta, dice Sartre, un pittore chiede ai suoi committenti di ritrovare nei quadri che acquistano le “servitù” alle quali sono sottoposti nella vita quotidiana, il loro corpo a corpo con la materia.

GAETANO BARBELLA

Brescia, 13 dicembre 2010

Illustrazione : Tintoretto (Jacopo Robusti, 1518, Venezia – 1594, Venezia), “Nozze di Cana”, 1561. Olio su tela, 435 x 535 cm, Santa Illustrazione: particolare delle Nozze di Cana Illustrazione: Autoritratto Tintoretto. ca. 1547, Olio su tela 46 x 38 cm Illustrazione : Particolare “Nozze di Cana” di Veronese, 1562-63. Olio su tela Illustrazione :Nozze di Cana, di Fialetti Odoardo (1562-1637). Stampa in acquaforte. Riproduzione della pittura omonima di Robusti Jacopo detto Tintoretto

sabato 11 dicembre 2010

I VIAGGI DI GILLES ( racconto incasinato)


PIAZZA del POPOLO 20 puntata


La piazza centrale di Ravenna è chiamata Piazza del Popolo, ha anche altri nomi, ma questo è quello che più le si addice perché è un luogo che attira i ravennati all’ incontro come le api sono attirate per il miele. Non ho citato a caso le api , in quanto qui si ergono due colonne su una delle quali vi è sant’Apollinare( patrono della città) il cui simbolo sono le api, simbolo di eloquenza. Sull’ altra colonna vi è San Vitale.Le colonne erette davanti al palazzo comunale dai veneziani nel 1483, hanno il basamento a gradoni, scolpito in bassorilievo da Pietro Lombardo con formelle raffiguranti i segni dello zodiaco, qui sono tredici, perché un tempo i segni zodiacali erano tredici, ed ornamenti floreali ed altre figure.

La piazza è un quadrilatero dove l'armonia degli spazi e degli edifici si sposa con l'armonia dell'incontro, è il cuore della città e fu ricavata nel XIII secolo. Fino al 1483 era solo un terreno erboso e fu durante la dominazione veneta che venne ampliata e pavimentata. Il Palazzo comunale, finto medievale è chiamato anche palazzo merlato per via dei merli posticci che furono posti nel 1857 in occasione della visita del Papa Pio IX .Vicino vi è il Palazzetto Veneziano , cosiddetto perché appunto eretto dai veneziani sempre nel Quattrocento. I cinque grandi archi con l'archivolto in terracotta poggiano su delle colonne di granito con capitelli di tipo composito con foglie di acanto dell'epoca dell'imperatore Teoderico (493- 526).

La piazza ispira lusso,calma e voluttà, è amatissima, ma sarebbe un po’ difficile far capire ai ravennati che qui si inspira aria di Venezia perché il periodo della dominazione veneziana è ancora malvisto, evidentemente quelli di Ravenna hanno la memoria lunga considerato che sono passati più di cinquecento anni. Qui a pochi metri vi è la sede della Loggia Massonica del Grande Oriente, la Casa Matha, sorge accanto all' Hotel Byron. Il Gran Maestro vive qui a Ravenna.Non tutti sanno che Ravenna era anticamente una città profondamente esoterica , tracce di percorsi iniziatici si possono ritrovare ovunque; come il labirinto a San Vitale ; i vari monumenti a pianta ottogonale, l' 8 rappresenta la Resurrezione, ed è simbolo dell' unione della terra col cielo, dell' infinito. Vi è anche un cavallo sepolto in una chiesa, il cavallo nell' antichità era compagno nei viaggi, ma accompagnava anche le anime in paradiso se bianco, all' inferno se nero.Vi sono poi un sacco di pigne che ornano palazzi e monumenti. La pigna secca è un simbolo esoterico, il secco rappresenta la morte, ma i pinoli che contiene all' interno significano la rigenerazione.

Oggi si dice che i ravennati più che la pigna hanno come loro simbolo il cocomero. Il cocomero ha la scorza verde, la polpa rossa ed i semi neri ( cioè il romagnolo è insieme repubblicano, che comunista ed anche fascista).


Nella foto, potete anche intravedere il mezzo più amato dai ravennati : la bicicletta, ed anche una brutta scritta su una panchina, purtroppo certi graffitari non si rendono conto dello scempio che fanno.



mercoledì 8 dicembre 2010

I VIAGGI DI GILLES ( racconto incasinato)

19 puntata


Ci fu un importante contatto con una galleria di Milano.

Il proprietario di questa galleria, un commerciante d’ arte, aveva visto il Gilles esposto e sembrava esserne innamorato.

“Questo, se lo porto a Milano, si vende subito, qui non è apprezzato, sta tornando in auge il figurativo, il tuo Gilles è molto espressivo , ne hai altri?” Mi disse. Il gallerista milanese.

“ Certo occorre un buon catalogo, con la prefazione di un noto critico, e poi tenere il prezzo alto, perché funziona così, più costa e più vale, ma questo non è il posto per parlarne “ continuò lui.

" Certo occorrerà qualche soldino, perchè un critico famoso costa, ed è il nome che fa vendere, ma perchè fai quella faccia?"

" Io soldi non ne voglio spendere."

" Si può fare lo stesso qualcosa, ma questo non è il luogo per parlarne, occorre un posto con un po' di riservatezza, magari a casa tua." insiste il gallerista.

Cincischiai, un poco, ma poi il solito vermiciattolo avido di lodi, mi costrinse a cedere, deridendo le mie ansie paurose.

Eppure una specie di sesto senso mi incuteva timore, il solito serpentello della paura del nuovo, mi dissi, la ragione insisteva nel dirmi: " ma di cosa hai paura", ma la lotta fra il vermiciattolo avido di lodi ed il serpentello della paura si volse a favore del primo e sbottai:

" A casa mia , ho dei lavori in corso , possiamo incontrarci in un locale tranquillo".

Fissammo un appuntamento in un bar, nella piazza centrale di Ravenna.


immagine: Gilles

giovedì 2 dicembre 2010

I VIAGGI DI GILLES ( racconto incasinato)



18 puntata



Betta una mia amica:

Come mai il Gilles è ancora lì, non lo voleva Giovanni?

“Sì , ma a Giovanni non piace, quindi me lo tengo io.”

"Ho pensato, che forse si intona coi colori del nuovo arredamento della mia casa di Roma, te lo compro io.” Mi dice con un sorriso.

“No, ho deciso, il Gilles me lo tengo io.”rispondo, pensando intanto che mai e poi mai lo avrei dato a Betta.

A Betta voglio bene, meno bene voglio ai suoi capricci. Il mio Gilles non può stare da lei.

Per farvi capire l’ indole di Betta, vi racconto uno dei suoi litigi usuali col marito.

Per l’ anniversario di nozze, il marito le regala, ogni anno, dodici rose rosse a stelo lungo, lungo.

Un anno la fiorista del paese ne era sprovvista, quindi propose al marito un mazzo di lilium contornato di piccole rose .

Come a Betta fu donato il mazzo di fiori dall’ innamorato coniuge, ella lo stazzonò per terra e con un calcio lo scaraventò contro il muro , inveendo al marito improperi sulla sua mancanza di tatto e di decoro osando portare a lei un mazzo di fiori che andava bene solo per il cimitero.

Costrinse poi il marito a telefonare alla fiorista ordinandogli di offenderla pesantemente perché incapace di svolgere il suo lavoro.

Infine il marito fu costretto ad uscire e ad andare in città per recuperare le fatidiche dodici rose rosse a stelo lungo, lungo.

Capirete, quindi, che il mio Gilles non può né andare , né stare con Betta.


immagine : GILLES