giovedì 14 maggio 2009

PERCHÈ AVER PAURA DELLA MORTE ? 2 PUNTATA

Guardateli mentre salutano, si dicono - scusi- , fanno i complimenti per cedersi il passo davanti alle porte, succhiano le bibite con la paglia, dicono - pago io- , - ma per carità- , - non lo permetterò mai-, - le pare-, - s' immagini- ; guardateli mentre si fanno scarozzare, si largiscono inchini e scappellate e minacciano di ricorrere a chi di ragione; mentre ballano in folla, mentre vanno a nozze in corteo, mentre fanno i duelli, i bagni nel mare, i processi nel tribunale, mentre vanno alla guerra; guardateli a teatro quando tutti questi aprono la bocca e ridono insieme, a lungo, nell' oscurità dei palchi, della platea e del loggione. E guardate una piazza gremita di dimostranti: sono tutti morti. Stanno per qualche anno in movimento,si agitano, strillano, piangono, s'innamorano, fanno le facce feroci e fra settant' anni, fra un secolo al più tardi, saranno tornati al loro stato normale. Non ce ne sarà più uno in piedi. Tutti fermi - è straordinario come stiano fermi i morti-, tutti zitti. Silenzio di tomba. I moti stellari continueranno a svolgersi in perfetto orario. Ci saranno le giornate di caldo afoso, con le gite al mare e i gridi sulla spiaggia, le giornate di pioggia, con le pozzanghere per le strade; i lumi accesi la sera, le foglie degli alberi, le trattorie affollate, e tram che passano o qualcosa di simile. Ma per quei tal della piazza gremita, d'esser vivi non se ne parlerà più. Dunque perchè dovremmo aver paura della morte? Sarebbe più giusto aver paura di questo strano fenomeno, magico e spettrale, che consiste nell'esser vivi in via affatto provvisoria. Ma noi non abbiamo paura nemmeno di questo. Noi siamo coraggiosissimi. FINE

7 commenti:

Paola Tassinari ha detto...

Ma se il “dormire” per Campanile vale come tentare di sfuggirvi a causa di una paura per lui insensata, per i “seri”, eppur grandi poeti, è il soggiungere di stati depressivi per poi prendere la forma del “vizio assurdo”.


Caro Gaetano, al tuo commento del post precedente, mi sono dimenticata di dirti che ho apprezzato oltremodo, tuo "abbinamento" del dolente Pavese col cazzimoso Campanile. Ambedue hanno il "vizio assurdo" lo tengono a bada come possono e non so se la comicità di Campanile lo abbia aiutato , io la trovo amara. Amara e forte e seria quanto quella di Pavese, li trovo ambedue facenti parte della stessa medaglia. La comicità non credo che aiuti , la comicità è una maschera, la quale fa presto a divenire tragica. Ciao Gaetano e grazie per i tuoi commenti che stimolano sempre una riflessione.

Gaetano ha detto...

Cara Paola, vedo che c’è fra noi un’intesa profonda.
I due, entrambi della commedia umana, furono immortalati da un altro napoletano del secolo a loro precedente, Ruggero Leoncavallo. Nella sua tragedia lirica Pagliaccio coesistono in Canio.
Teatro e vita sono due cose diverse: ma è proprio così o sono le facce della stessa medaglia? Come marito ingannato sulla scena – dice Canio (che impersona Pagliaccio) – è disposto a subire l’umiliazione e a far ridere l’uditorio, ma se Nedda (Colombina) veramente lo tradisse, la commedia finirebbe in tragedia.
E infatti questa è la conclusione dell’opera di Leoncavallo.
La realtà, quella dei “morti” di Campanile dunque, è invece commedia mentre è nell’interiorità umana che avvengono tragedie che non si contano. É qui che il “vizio assurdo” semina lo sgomento, il terrore fino alla morte.

In Canio del primo atto la morte si insinua come una micidiale serpe:

Recitar! Mentre presso dal delirio
non so più quel che dico e quel che faccio!
Eppur è d'uopo... sforzati!
Bah! sei tu forse un uom?
Tu se' Pagliaccio!

Vesti la giubba e la faccia infarina.
La gente paga e rider vuole qua.
E se Arlecchin t'invola Colombina,
ridi, Pagliaccio... e ognun applaudirà!
Tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto;
in una smorfia il singhiozzo e'l dolor...
Ridi, Pagliaccio, sul tuo amore in franto!
Ridi del duol t'avvelena il cor!

Vien da dire che è la morte la verace “cazzimmosa” e non tanto Campanile!

Ciao, Gaetano

pierperrone ha detto...

Cara Paola, è davvero eccezionale questo testo.
L'ho letto e mi sono venuti i brividi.
Pensa.
Guardati intorno.
Vedi quanti morti ci sono che neanche lo sanno di essere morti?

Vivi.
Vivi.
Vivi, dobbiamo essere.

Grazie, Paola. Grazie Campanile

utilizerapagain ha detto...

Carissima/i da quanto avete scritto e dibattuto mi pare che, per quanto meraviglioso possa o non possa essere questo mondo, noi siamo qui solo per una breve visita. Ma breve rispetto a che cosa? A un numero illimitato di anni?
Morte e vita o vita e morte.
Come voi sapete ci sono due generi di parole, quelle che desacrivono se stesse (autologiche) e quelle che non descrivono se stesse (eterologiche). Per esempio ''corto'' e' una parola autologica perche', infatti, e' una parola corta; ''monosillabico'' e' invece eterologica, infatti ha piu' di una sillaba.
Morte e vita sono autologiche o eterologiche? Ma poi morte e vita significano effettivamente morte e vita? Se posso scherzare con la morte anche per tutto il resto della vita, se posso avere la morte nel cuore o avercela a morte con qualcuno e se poi si tratta della morte di un' epoca, di un' industria..., la parola morte e' autologica o eterologica? Io colmo di vita, almeno spero, che scrivo morte uso un termine autologico od eterologico? Dubbi, invece, non ci sono con la parola vita.
Nel nostro caso il dilemma si intorcina perche' nel parlare di MORTE abbiamo, beh piu' precisamente, avete dato VITA a un interessante dibattito, che ritengo non andra' a morte, ma sara' sempre tenuto in vita nella nostra memoria.
Felice e radioso giorno
Vale

Paola Tassinari ha detto...

Vien da dire che è la morte la verace “cazzimmosa” e non tanto Campanile!
Caro Gaetano, ci sono certi napoletani che riescono ad incarnare " Canio" in modo unico, con un' ironia " cazzimosa" già bisogna riflettere su questo termine, il quale dà la vita e allo stesso tempo con la vita la morte.Già lo aveva detto Shakespeare, la vita è un palcoscenico, ed infatti è uno spettacolo teatrale ( al tempo dell' impero romano gli spettacoli teatrali contemplavano, incendi ed uccisioni vere, l' attore rischiava la vita)e quindi la nostra vita è uno spettacolo teatrale più o meno lungo. Sai Gaetano, l' unica cosa che ci salva cosa è ? E' la PASSIONE, quella vera ( per l' arte, la scrittura, lo sport, il lavoro, l' apicoltura, la bicicletta ecc, ecc)la passione che occupa il tuo tempo e sei talmente " preso" che nel mentre non ti importa di nulla. Ciao.

Paola Tassinari ha detto...

Caro Piero è un racconto bellissimo e terrificante, Gaetano con " cazzimoso" l' ha qualificato bene. Ciao.

Paola Tassinari ha detto...

Caro Pier Luigi, per me morte è una parola autologica per eccellenza, più forte nella descrizione di sè stessa della vita.Ma tu Pier Luigi hai talmente tante PASSIONI che non hai tempo per la morte, quando verrà da te , le dirai ....torna domani che non ho tempo....mi ricordi quel linguista ( non ricordo il nome) che in fin di vita si interrogava su.......me ne vo o me ne vado è la stessa cosa perchè entrambe si possono dire.......la risata seppellisce tutto , ma quando è amara nasconde le lacrime.Ciao.